Parlare in pubblico: tecnica o spontaneità?

Intervista a Gianluca Reggiani, Presidente Ass. teatrale Banyan e formAttore di ManagerZen, in cui ci svela qualcosa in più sulle tecniche efficaci per parlare in pubblico

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“La più grande paura della gente non è morire, è parlare in pubblico. [Richie Roberts - American
Gangster].”


Come dici nei tuoi corsi pare che questa paura sia davvero seconda solo alla morte: perché secondo te tenere uno speech in pubblico è così spaventoso?
Inconsciamente la paura parlare in pubblico rievoca un’antica memoria assopita relativa al rischio di essere rifiutati o esclusi dal “branco” e quindi in qualche modo è un’esperienza che attiva una sorta di istinto di “sopravvivenza”, desideriamo ardentemente fare bella figura per essere accettati, accolti.
Molto più semplicemente possiamo dire che purtroppo siamo ancora terrorizzati dalla paura del giudizio che gli altri possono esprimere su di noi. Quando iniziamo a fregarcene di quel potenziale giudizio negativo inizia il piacere di parlare in pubblico.


Se da un lato le persone sentono la necessità di avere strumenti e abilità per affrontare un pubblico dall’altro è diffusa l’idea che i “tecnicismi” possano togliere naturalezza e spontaneità, e uindi efficacia. Cosa ci puoi dire in merito?
Gli atleti, i musicisti, gli attori si allenano per molto tempo e con molta disciplina inoltre si preparano “riscaldandosi” accuratamente anche pochi minuti prima dell’evento. Questo permette di acquisire sempre maggiore consapevolezza ed evita di riprodurre meccanicamente qualche tecnica o qualche trucchetto acquisito solo come informazione ma non assimilato.
Le “tecniche” sono importanti ma da sole non fanno la qualità di uno speech ed è bene studiarle per poi dimenticarle durante la performance. Io credo sia importante comprendere e imparare a riconoscere alcuni principi di fondo basilari attraverso i quali si riesce sempre a lavorare trasmettendo al pubblico una sensazione di autenticità.

Esistono dei trucchi per parlare in pubblico?
Con l’esperienza assimili delle risorse che possono sempre essere utili perché sono tue. Cerchiamo dei “trucchi” come fossero delle comode scorciatoie per raggiungere un obbiettivo, ma così facendo il più delle volte perdiamo di vista la bellezza del paesaggio. Il “trucco” più efficace è quello di riuscire a divertirsi quando si parla in pubblico allora si moltiplica l’efficacia del nostro potenziale senza barare.


Dovremmo chiederlo ai partecipanti, ma cos’è secondo te che cosa rende il tuo corso più efficace di altri?
Io mi considero principalmente un “regista teatrale”, ho imparato molto bene a lavorare con gli attori e nella formazione degli attori. Propongo un lavoro molto pratico con solide basi teoriche.
Invito e conduco i partecipanti alla scoperta di sé come “attori” perché possano imparare a giocare con maggiore consapevolezza con se stessi e magari trovare il coraggio di fare un “restyling” del “personaggio” che interpretiamo nella vita di tutti i giorni perché possa essere più efficace sulla scena.


C’è un livello base o delle competenze di comunicazione richieste per partecipare ai tuoi aboratori?
E chi è già un comunicatore, può trarre comunque dei benefici?
Tutti possono partecipare. Una volta condivisi e compresi alcuni principi di fondo basilari soprattutto riguardanti il linguaggio del corpo il mio lavoro diventa molto individuale perché l’intento è quello di valorizzare le vostre qualità soggettive - non esiste un modello standard ideale da raggiungere come comunicatori - non dovete imitare nessuno, dovete “funzionare” meglio riconoscendo i vostri “demoni” che vi indeboliscono e dando nutrimento ai nostri “angeli” che ci sostengono.

Alla fine del laboratorio, c’è sempre una bellissima atmosfera tra i partecipanti
e in un giorno e mezzo si osservano spesso delle vere e proprie “epifanie” …

Le nostre risorse potenziali sono notevoli e sorprendenti. Il mio lavoro è quello di creare le condizioni perché le persone possano imparare a giocare e sperimentarsi ad un livello “extraquotidiano”. Quando si parla davanti ad un pubblico siamo in una situazione “extraquotidana” e per questo dobbiamo attivare consapevolmente molta energia. E’ normale che quando si lavora in questa direzione con un certo entusiasmo le persone vivano delle vere e proprie “epifanie”, che nascono dal fatto che sperimenti quanto può essere vera e potente l’espressione “Yes, I can”.


In uno dei tuoi profili professionali ti sei definito “possible maker”. Cosa significa per te?
E’ un’espressione che mi piace molto perché chiarisce in modo chiaro il livello di responsabilità che voglio e mi posso assumere. Sento che non posso essere un “formatore” perché non voglio plasmare/formare nessuno. Non posso essere, specialmente in queste situazioni, un “Coach” un allenatore perché richiederebbe troppo tempo. Posso essere un Possibile Maker un creatore di possibilità. La mia responsabilità è chiara e totale, quella di creare le condizioni per offrire a chi
partecipa delle concrete possibilità di crescita e di sviluppo del proprio potenziale. Ma poi c’è la grande responsabilità di chi partecipa di impegnarsi nel gioco e di approfittare di queste possibilità, io non potrò mai entrare in scena al posto vostro.


Una frase, una citazione, per salutarci … e invitarci ai tuoi corsi..
“Tutto il mondo è un palcoscenico e gli uomini sono soltanto degli attori che hanno le loro entrate e le loro uscite e ciascuno, nel tempo che gli è dato, recita molte parti …” William Shakespeare.
Non c’è nulla da temere a scoprire quanto è bello giocare con uno dei giocattoli più straordinari che ci hanno regalato dalla nascita … noi stessi.