Impulsività disfunzionale, quando contare fino a 10 non basta

Quante volte agiamo per poi pentirci amaramente di quello che abbiamo detto o fatto? Essere impulsivi è un segno di libertà mentale oppure un comportamento disfunzionale. Sicuramente a certi livelli questo modo di agire è controproducente e tante ricerche mettono in luce aspetti ormonali e psicologici a carico dell'impulsività funzionale e disfunzionale

Impulsività disfunzionale, quando contare fino a 10 non basta

Quante volte ci è stato consigliato di contare fino a 10 prima di agire o dire qualcosa di cui potremmo pentirci ed evitare di essere impulsivi?

Già, l'impulsività è a volte decisamente disfunzionale soprattutto a livello sociale, sebbene non sempre siamo consapevoli di essere troppo vicini o addirittura di aver valicato il limite.

Secondo il DSM-IV l'impulsività è qualcosa di più di una tendenza alla spontaneità: si tratta dell'impossibilità a resistere all'impulso di compiere qualcosa che potrebbe danneggiare un altro individuo: “[…] il soggetto avverte una sensazione crescente di tensione o di eccitazione prima di compiere l’azione, e in seguito prova piacere, gratificazione, o sollievo nel momento in cui commette l’azione stessa. Dopo l’azione possono esservi o meno rimorso, autoriprovazione, o senso di colpa”.

 

I tipi di impulsività

In letteratura si distinguono due tipologie di impulsività: quella funzionale e quella disfunzionale e si distinguono per le finalità della propria azione.

In entrambi i casi il soggetto tende ad agire senza pensare alle conseguenze o alla portata delle proprie azione, ma nel primo case agisce a fin di bene, mentre nel secondo le conseguenze sono nefaste. Da un punto di vista clinico la questione centrale resta la mancanza di controllo dell'individuo sulle proprie azioni.

Secondo Scott Dickman questa apparente minima differenza nasconde un divario più profondo a livello cognitivo. L'impulsività disfunzionale è caratterizzata da un'incapacità di fermarsi a riflettere, mentre i "funzionali" riescono a cogliere meglio e più velocemente delle opportunità nel proprio ambiente.

Le differenze si riflettono anche nei costrutti ad essi correlati: entusiasmo e proattività per l'impulsività funzionale e basso livello di persistenza per l'impulsività disfunzionale.

 

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Impulsività e ciclo mestruale

Le battute di spirito sul particolare stato d'animo delle donne durante il ciclo mestruale sono numerosissime, ma quanto c'è di vero?

Una parziale risposta circa la relazione tra ciclo mestruale e impulsività ci giunge da una recente ricerca condotta da Paola Iannello e colleghi dell'Università Cattolica di Milano e presentata di recente alla conferenza annuale della Associazione Italiana di Psicologia.

I costrutti indagati nella ricerca sono tre: variazioni ormonali, livello di impulsività e tendenza al rischio. Questi ultimi due sarebbero legati tra di loro poiché i comportamenti rischiosi sono una delle possibili conseguenze negative dell'impulsività.

L'esperimento ha visto la partecipazione di circa una settantina di studentesse universitarie (che non facessero uso della pillola) cui è stato monitorato il ciclo ormonale, distinguendo tra fase fertile e non fertile, che hanno compilato un questionario per valutare l'impulsività e uno per il comportamento di rischio.

 

I risultati

I risultati dell'esperimento mettono in luce una certa "collaborazione" tra ormoni e cognizione: durante la fase fertile infatti, la donna mostrerebbe un aumento del comportamento assennato, cioè una diminuzione di tendenza al rischio.

Se non c'è una presenza di impulsività disfunzionale (che remerebbe contro) la donna fertile aumenta la propria concentrazione e capacità di cogliere nell'ambiente esterno opportunità favorevoli ai propria obiettivi. In termini evoluzionistici ciò andrebbe a favore di aumentare le possibilità di sopravvivenza anche escludendo un maggior numero di pericoli. 

Lo studio si conclude con una riflessione interessante: mentre i livelli ormonali possono essere modificati dall'uomo, l'impulsività (legata alla tendenza al rischio) resta una competenza appresa e quindi più difficilmente modificabile.

 

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