Pasqua: credere rende più felici?

La Pasqua è la principale festività del cristianesimo in quanto ne racchiude il messaggio più profondo. Diverse ricerche confermano che il cervello è predisposto fin dalla nascita a credere nel sovrannaturale, solo quando questo meccanismo viene alterato, per esempio dall’emergere di un pensiero più analitico che intuitivo, le credenze religiose non vengono favorite e si sviluppa un pensiero più scettico o ateo. Ma chi vive meglio e più a lungo, i non credenti o i credenti? Alle soglie della Pasqua ci chiediamo: credere rende più felici? Vediamo cosa dicono le ricerche

Pasqua, credere rende felici

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Un’ampia massa di ricerche suggerisce che, in confronto alle persone religiose, chi non ha un credo ha meno probabilità di essere sano e felice  e tenderebbe a perdere almeno sette anni di vita. Da crederci?

Parecchi studi condotti su larga scala hanno confermato la stessa cosa: più ci si impegna in attività religiose e meglio si sta. Saranno doppiamente felici per questa notizia tutti quelli che si stanno già preparando alla Pasqua. Ma se credere rende più felici, chi non crede può solo accontentarsi?

Precisiamo che i non credenti sono in tutto il mondo tra i 500 e i 750 milioni, dunque se davvero l’incerta fede di un numero crescente di persone preannuncia minore salute e minore soddisfazione nella vita, sarebbe utile sapere in che modo la religione fa bene ai suoi seguaci e in che modo li rende più felici.

Sembrerebbe che gli atei si privino di alcuni grandi vantaggi insiti nell’appartenere ad una confessione religiosa: i credenti possono contare su una comunità di persone con idee affini, molte delle quali sono felici di accoglierli nella loro cerchia sociale e, soprattutto in tempi duri come questi, tale rete attutisce le cadute.

Pare insomma che, oltre all’aspetto sovrannaturale e alla speranza di una vita eterna che la Pasqua rinnova, il credere rende più felici anche per aspetti psicosociali.

Infatti è stato riscontrato che una forte identità religiosa sostenuta da un’ampia rete di amicizie fa bene alle persone. Credere rende più felici coloro che appartengono a gruppi religiosi, che hanno più amici stretti nella loro congregazione e che credono che la religione sia importante per il proprio senso di sé.

Tuttavia queste ricerche vogliono rassicurare in qualche modo anche gli atei che non celebreranno né la Pasqua né altre festività religiose: credere in Dio può rendere più facile la vita e rendere più felici, ma non è indispensabile.

Socializzare regolarmente con persone di idee simili e vivere e lavorare in una comunità che dia sostegno, può offrire molti degli stessi benefici.

 

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Credere per essere più felici a Pasqua e non solo

L’idea che credere renda più felici ha sicuramente una storia lunga, soprattutto nell’immaginario popolare, ma negli anni anche sociologi e psicologi hanno confermato che definirsi religiosi è correlato a maggiore salute e punteggi più alti in varie misure di soddisfazione.

Siete attivi nella vostra pratica religiosa e non mancherete di celebrare anche la Pasqua? Non potrete che trarne beneficio. I dati di una ricerca condotta ad Harvard nel 2010 dagli studiosi Lim e Putnam hanno mostrato che la gente riferiva di essere più soddisfatta della propria vita semplicemente quando andava più spesso alle funzioni religiose.

I due ricercatori hanno trovato che chi si univa alla propria congregazione ogni settimana riferiva di essere “estremamente soddisfatto”, al contrario di coloro che non andavano mai alle funzioni.

Che credere renda più felici e che la religione abbia degli effetti positivi è chiaro, ma è fondamentale considerare anche il posto nel quale si vive e la cultura di riferimento: sembrerebbe che credere renda più felici all’interno di società in cui si dà molto valore alla religione o dove le condizioni di vita non sono particolarmente facili.

Pensando alla Pasqua che è alle porte allora, interessante può essere riflettere sulla famosa scommessa di Pascal il quale si è chiesto se valga la pena credere o non credere nell’esistenza di Dio.

La soluzione di Pascal è che conviene credere, per due motivi: primo, se Dio esiste si ottiene la salvezza; secondo, se ci sbagliamo, si è comunque vissuta un’esistenza lieta all’insegna della positività e dell’ottimismo rispetto alla consapevolezza di finire in polvere.