"La cucina tradizionale è un'enciclopedia": il menu di Natale secondo lo chef Marco Ambrosino

Il pranzo del 25 e la cena della vigilia di Natale sono occasioni per rafforzare le tradizioni famigliari portando in tavola un forte senso di appartenenza. Ne parliamo con lo chef Marco Ambrosino.

Chef Marco Ambrosino

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©Giuseppe Ippolito

Le restrizioni della seconda ondata pandemica renderanno questo Natale decisamente atipico, ma non per questo "scollato" da quello che in questa festa tanti di noi ricercano, un radicamento alle proprie origini, il bisogno di riunirsi.

Le tavolate del 24 e 25 dicembre potrebbero, allora, dare maggiore valore al concetto di tradizione e anche i trend sugli acquisti sembrano confermare che la scelta degli italiani si muove verso questa consapevolezza: la spesa si fa alla fonte e si risparmia

 

Secondo Coldiretti, in piena pandemia gli italiani hanno preferito fare gli acquisti per il pranzo di Natale dal contadino, così da portare in tavola un menu più "tradizionale" con il fine di riavvicinarsi ai piaceri e ai sapori naturali attraverso la loro valorizzazione. 

 

Questo approccio consentirà anche una riduzione in termini di spesa, che nel 2019 ammontava 4,8 miliardi di euro tra Natale e Capodanno (non senza grandi quanità di cibo finito nella spazzatura) per pranzi e cene casalinghi. 

 

Secondo le stime più recenti nel 2020 il 65% degli italiani spenderà meno in quanto organizzerà tavolate "più intime". La voglia di tradizione però non manca neanche quest'anno perché a tavola è il senso di appartenenza e radicamento con le origini il piatto principale.

 

Ne abbiamo parlato con Marco Ambrosino, originario di Procida. Lo chef del ristorante "28 posti" a Milano ci spiega come la cucina sia radice e tradizione importante della società, perché le tradizioni culinarie hanno un valore sentimentale. , si forma ventenne al  Melograno di Ischia, 1 stella Michelin, sotto la guida della chef Libera Iovine. Nel 2011 fa uno stage al "Noma" di Copenaghen. 

 

A Natale le famiglie si dividono o si riuniscono a nome delle tradizioni. Si preserva così un senso di appartenenza?

Sì, c'è un valore sostanzialmente sentimentale. La cucina è un tratto d'unione per persone distanti, magari tutto l'anno, che si ritrovano soltanto per le feste.

 

Che ruolo incarna per Lei la cucina tradizionale?

È un dono, è come attingere da un'enciclopedia, una base di riferimento per l'innovazione. Contiene l'infanzia, i ricordi, i ricordi di famiglia. È una questione di riferimenti e di dati affettivi.

 

Come gestisce la Sua proposta innovativa e all'avanguardia con la cucina tradizionale delle sue origini, quella campana?

È un legame sentimentale, ci sono prodotti che mi portano indietro nel tempo e che costituiscono un patrimonio da cui, anche, ripartire.

 

Nel periodo in cui ha lavorato in Danimarca come portava in tavola la cucina italiana?

Facevo parte di un gruppo di oltre 70 cuochi, ma c'era spazio per l'intervento personale: una volta alla settimana si mangiava ora messicano, ora italiano, cucina che è sempre molto ammirata all'estero.

 

Esperto di cucina del Mediterraneo, quali prodotti e ingredienti accomunano il mare nostrum nel periodo di festa? 

Più che pensare a ingredienti davvero tipici, penso che la tradizione che davvero sia un tratto tipico di queste zone riguardi più che altro la pratica del fare. Per esempio, la pratica di prendere dagli scarti per trasformarli in piatti: così si prepara la polpetta, il kebab o altre innumerevoli varianti.

 

Quale significato attribuire alla tradizione del menu natalizio?

Alternare periodi di magro a periodi di festeggiamento. Tutte le tradizioni religiose sono caratterizzate da un periodo di digiuno che ne precede uno di opulenza.

 

Il pranzo di Natale con chi lo passerà?

In famiglia, con mia moglie e mio figlio.

 

Che menu porterete a tavola? Carne o pesce, struffoli o panettone?

Menù classico partenopeo. Abbiamo la fortuna di essere originari di posti che offrono tanto, quindi, prendiamo quello che c'è.