Avanti tutta con il downshifting: intervista a Simone Perotti

Simone Perotti, pioniere italiano del downshifting, ha raccontato in "Adesso basta" una radicale scelta di vita basata sul riappropriarsi del tempo e di se stessi, dando nuovo valore alla quotidianità, alle abitudini e ai consumi. Tre anni e dieci edizioni dopo, torna in libreria con "Avanti tutta - Manifesto per una rivolta individuale" per tracciare un bilancio e condividere scoperte e reazioni. Lo abbiamo intervistato per saperne di più

Avanti tutta con il downshifting: intervista a Simone Perotti

Diciannove anni in azienda, poi il cambiamento: Simone Perotti ha raccontato in Adesso basta la scelta del downshifting (“scalare marcia, rallentare il ritmo”). Rivoluzionare la propria vita riappropriandosi del tempo libero e dando nuovo valore alle abitudini, alle scelte e ai consumi. Dopo dieci edizioni, l'esperienza del downshifting ritorna in Avanti tutta - Manifesto per una rivolta individuale, un pamphlet che racconta un nuovo ordine esistenziale e sociale. Simone Perotti racconta “come si vive fuori”, le sue scoperte (buone e cattive), e sfata gli stereotipi placando l’animo dei tifosi e contrastando una a una le obiezioni dei più critici. Dall’analisi degli 80.000 messaggi ricevuti, l’autore ricava la prima classificazione dei downshifter italiani (i Convinti, gli Arrabbiati, gli Impegnati, gli Antitaliani, gli Accoppiati, i Sorpresi…) e una mappa generazionale delle loro paure: l’identikit dell’uomo contemporaneo in rivolta. Lo abbiamo intervistato per saperne di più.

 

Sono passati tre anni dall’uscita di “Adesso basta”: cosa è cambiato? Qual è il bilancio di tre anni da downshifter?

Sono quasi quattro gli anni della Vita Nova. Anni entusiasmanti, di grande impegno, duri, faticosi, ma anche indescrivibili quanto a senso di libertà, voglia di andare avanti, creatività, emozioni. Mi manca l’italiano per descrivere tutto questo (cosa che per uno scrittore è anche grave…). Certo la fiducia nei miei mezzi è cresciuta, la constatazione che si può fare mi ha corroborato. Le soluzioni ai diversi problemi incontrati mi ha reso ottimista più di quanto non fossi già. Insomma… non è stata una passeggiata, certo, ma un percorso dal quale non tornerò indietro certamente.

 

Chi critica la sua scelta di vita sostiene che il downshifting sia solo alla portata di chi possiede già un ricco budget su cui contare: ci racconta il downshifting low cost?

Sono riuscito quasi sempre a cavarmela coi miei mezzi, fin qui. Ho prodotto con piccoli lavori, tutti nell’ambito di ciò che amo, il denaro sufficiente a vivere. La soluzione è stata resa disponibile non tanto dal lavoro e da ciò che mi sono candidato a fare, ma dai consumi sempre più contenuti, dall’autoproduzione, dal risparmio, dal taglio dei costi superflui, dall’essenzialità interiore ed esteriore della mia vita. Anche ora che ho guadagnato dei soldi con i libri, non cambio strada. Non posso rischiare. E poi non voglio. Ogni cosa che non faccio non è una privazione, ma una conquista. Il downshifting low cost è un tema interessante, lo tratto in Avanti Tutta: come viaggiare, nutrirsi, divertirsi, vivere quasi senza soldi, o con pochissimi denari. È molto affascinante cavarsela con poco. Elimina, ad esempio, la paura della crisi economica. Vivere essendo già in crisi è molto attuale.

 

Grazie al suo libro ha raccolto migliaia di storie, reazioni, commenti: qual è l’identikit dei downshifter italiani?

Impauriti, molto desiderosi di cambiare, maschi per il 70%, tra i 30 e i 50 anni, soprattutto del centronord, ma con molte sorprese al sud, cultura media, mestieri diversissimi, ma con prevalenza di chi lavora nelle aziende. Tanta tanta gente che vuole cambiare, che sente di volersi togliere il peso dal cuore, ma che ha paura di farlo. Temono per il giudizio della gente, per la perdita di carriera, lavoro, stipendio fisso. Hanno paura di deludere parenti e amici, fidanzate e mogli (o mariti) che hanno creduto in loro e che puntavano sulla loro riuscita. Gente che capisce bene, ormai, l’assurdità di quello che stiamo vivendo e vorrebbe dire basta. Tanti, molti più del previsto, mi scrivono per dirmi che hanno già cambiato vita. Non solo single ma anche alcune coppie e soprattutto tantissime famiglie.

 

Trovare il coraggio per cambiare vita, essere liberi, felici e padroni del proprio tempo: quali sono le resistenze psicologiche che si oppongono al downshifting?

Quelle che dicevo sopra. Soprattutto la paura del vuoto, dell’ignoto, di un mondo che potrebbe fagocitarli e distruggerli. In tanti non capiscono che, qualunque cosa facciano, moriranno comunque a novantanni o giù di lì. Non si muore di cambiamento. Si muore assai più spesso per paura del cambiamento. Ed è una brutta morte…

 

Il mondo del lavoro vive di sprechi: quali potrebbero essere le soluzioni del downshifting per le aziende?

In molti, forse io compreso, non avrebbero cambiato vita se il mondo del lavoro fosse diverso. Lavorare cinque ore al giorno annullerebbe la disoccupazione, perché lavoreremmo tutti. Guadagnare meno (sopra una certa soglia, ovviamente incomprimibile) basterebbe comunque per vivere se si vivesse in modo sobrio. Le aziende non fanno che lamentarsi del costo del lavoro ma la gestione di decine di aziende che ho visto dall’interno è pessima, improntata a lussi e privilegi, a sprechi e a perdita di opportunità. Molti guadagnano troppo. Molti business sono morti e andrebbero abbandonati. Molte cose che il Paese ci offre per vivere in prosperità non vengono fatte, gestite esercite. Bisogna consumare meno energia, utilizzare meglio le persone, farle vivere meglio, farle produrre meglio, rispettarle e trattarle con cura. Pensate ai nostri ricercatori, il meglio del Paese, che viene lasciato andare via per mancanza di cura. Ma non è spreco di risorse quello?

 

Eliminare il bisogno del superfluo e dare nuovo valore alle proprie scelte: il downshifting è il primo passo per la nostra crescita personale?

Il downshifting o comunque tutte le forme di cambiamento nella direzione della sobrietà, della decrescita, dell’essenzialità, sono la conseguenza di una crescita personale, non il contrario. Quando una persona si interroga, tenta di tappare i propri buchi, diventa più salda sulle gambe, combatte la paura, impara a stare da sola, individua nei suoi sprechi le aree di miglioramento psicologico, allora diventa in grado di cambiare. Il cambiamento non è una fuga, che è sempre la via dei deboli. Il cambiamento è a disposizione solo di gente che ha coraggio, e il coraggio viene dall’allenamento, dalle dotazioni spirituali e psicologiche che ognuno dovrebbe darsi, perseguire, cercare. C’è poco lavoro dentro, dunque anche il cambiamento (fuori) languisce.

 

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