Antifascista, mistica o paranoica? Profilo psicologico di Violet Gibson, la donna che sparò a Mussolini

La storia tramanda le vite di molti personaggi traditi come folli, ma forse erano soltanto dotati di una sensibilità più esasperata del normale che ha conferito loro una lucidità inquieta.
Riscopriamo la biografia di Violet Gibson, internata dopo essere dichiarata inferma di mente per aver attentato alla vita di Benito Mussolini.

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©Un frame dal film del 2020 "Violet Gibson, the Irish Woman Who Shot Mussolini"

Personaggi celebri tra pazzia e lucidità

Tanti personaggi sono passati alla storia come pazzi. Ma lo erano davvero, o soltanto vedevano e sentivano più degli atri? 

 

Nel film Shining, l'albergatore è interpretato così straordinariamente da Jack Nicholson che lo ha trasformato in iconografia del pazzo. Eppure il titolo del film di Stanley Kubrick insinua subito il dubbio: il guardiano è matto o gode, come il figlio, di luccicanza, ossia della capacità di vedere più acutamente rispetto agli altri?

 

Passare in rassegna i matti della storia dell'uomo rivela che la maggior parte di questi pazzi erano esasperatamente sensibili
Nerone passò alla storia per le sue malefatte come un sadico isterico, al punto da meritare la damnatio memoriae, ma anche come gentile musico, e fu lui a iniziare la Domus Aurea, un circuito astrale di estrema bellezza, emozionale e cognitivo che pochi altri seppero erigere.

 

Nel mondo dell'arte è documentata la follia di Van Gogh, ma i suoi lavori mostrano soltanto una esacerbata sensibilità.  Alda Merini fu internata a soli 16 anni nell'ospedale psichiatrico Villa Turro perché le venne diagnosticato un disturbo bipolare, eppure è passata alla storia per essere una poetessa geniale.

 

Meno nota è la storia di Violet Gibson, l'unica attentatrice a Benito Mussolini che riuscì a ferirlo seppure marginalmente, e per questo fu dichiarata inferma di mente e rinchiusa per il resto della sua vita in manicomio. Ma cosa sappiamo di questa donna?

 

Violet Gibson: una vita tra follia e misticismo religioso

Quinta di otto figli, Violet Gibson aveva origini arstocratiche: il padre era Edward Gibson, primo barone di Ashbourne e lord cancelliere d'Irlanda. La sorella la ricorda “Irritabile fin da piccola e spesso andava fuori di sé”.

 

Ebbe un'educazione conforme all'istruzione privata del suo rango, quella di figlia di un lord. Fin da giovane fervente religiosa. Dette scandalo quando si convertì al cattolicesimo, negli anni in cui conversione era detta «perversione», al punto che pure il "Times" ne dette notizia. 

 

Nel 1905 rimase sconvolta dal lutto per la perdita del fratello Henry, morto di tubercolosi. A Londra nel 1908 ebbe l'unica storia d'amore con un artista che rimase sconosciuto e che pure morì. Da allora si dedicò ancora più animosamente a una vita mistica, devolvendo parte della sua rendita in beneficenza: lei stessa affermò che soccorreva i poveri con il suo denaro per diventare anche lei come loro, voleva vivere la loro vita, considerandoli più vicini alla verità. Poteva vivere negli agi dell'aristocrazia anglo-irlandese e invece si ribellò al punto che la sua famiglia tentò di estrometterla dai diritti di successione. 

 

Nel 1914 le fu diagnosticato un cancro e subì l'asportazione del seno sinistro. Uno dei medici annotò l'atteggiamento della donna di fronte al dolore, osservando che sembrava ignorare i mezzi per alleviarlo, come se la sua fragile natura fosse il prezzo da pagare per la sua fede religiosa. La sua salute era precaria e subì altre operazioni.  

 

Nel 1917 Scotland Yard aprì un fascicolo su Violet perché compariva in una lista di pacifisti e fu schedata come fortemente antibritannica. La morte del fratello Victor nel 1922 aggravò il suo stato di confusione mentale e fu ricoverata in una casa di cura a Kensington e iniziò a manifestare manie di tipo aggressivo

 

Fu giudicata folle per un'aggressione particolarmente feroce ai danni della figlia di una governante che l'aveva aiutata togliendola dalla strada. Internata, a un'amica disse di essere stata scelta per compiere qualcosa di grande per Dio e per la chiesa. Dopo alcuni segnali di miglioramento fu dimessa dalla clinica. Amava molto l'Italia e si trasferì a Roma nel 1924.

 

L'attentato a Benito Mussolini di Violet Gibson

Il 6 novembre 1924 si trasferì a Roma dove seguiva da vicino le vicende storiche di quegli anni in Italia: l'ascesa al potere di Mussolini, il delitto Matteotti, l'affermazione del totalitarismo fascista, contro cui il suo animo si contrariò

 

Era tormentata dal pensiero se fosse giusto uccidere e si credeva nelle sue mire fosse papa Pio XI e non Mussolini, tentò anche il suicidio la sera del 27 febbraio 1925 e quando le chiesero le ragioni che la spinsero all'atto estremo di puntarsi la pistola al petto, rispose che voleva morire per la gloria di Dio. Qualcosa che è stato inteso come delirio mistico.

 

Rifiutò l'aiuto dei familiari in questo momento di profonda depressione e volle farsi ricoverare come paziente volontaria in una clinica romana in via Nomentana, dove rimase due mesi parlando della sua volontà di servire Dio. Rimasta completamente sola, isolata dalla famiglia e abbandonata anche dall'infermiera che l'aveva seguita a Roma, si trasferì a Chieti per seguire da vicino il processo per il delitto Matteotti, e per le ingiustizie di questo processo, la sua sensibilità esasperata fu molto scossa.

 

Nella mattinata del 27 aprile 1926, quando il fascismo era ancora isolato e disorganizzato, dopo aver assistito alla messa, Violet, che aveva cinquant'annni, uscì dal convento, e incontrò il Duce al Campidoglio, dov'era appena terminato un congresso di chirurgia. Gli sparò tre colpi contro il volto da una distanza di 20 centimetri, uno, deviato da un saluto romano alla folla, ferì soltanto di striscio il naso del dittatore, il quale tranquillizzò il fratello Arnaldo sulla sicurezza dei suoi servizi segreti, affermando che la signora che aveva attentato alla sua vita, aveva un aspetto affatto innocuo e innocente. 

 

Violet rischiò il linciaggio da parte della folla, ma fu salvata dagli agenti che la rinchiusero in carcere. Qui fu interrogata e con lei i suoi familiari, tutti concordi nel definirla malata di mente. Negli interrogatori, la donna si dimostrò abilissima nel confondere i suoi inquisitori. 

 

Alla fine la decisione più rapida fu quella di rispedire la donna in Inghilterra dichiarandola malata di mente. Al processo, il suo avvocato Enrico Ferri la dichiarò paranoica, perciò irresponsabile per il suo atto omicida. Davanti al giudice Violet affermò: “Io sono pazza, una pazza non può rispondere alle vostre domande, del resto è meglio per tutti che io sia ritenuta pazza”.

 

Il 12 maggio 1927 lasciò il carcere delle Mantellate per essere rimpatriata e consegnata alla sorella Costance. In Inghilterra fu subito segregata a vita come pazza. Nel 1930 tentò di nuovo il suicidio, impiccandosi con una corda fatta da lei e manifestò di nuovo tendenze aggressive verso gli altri pazienti. Nonostante tutte queste continue manifestazioni psicotiche, per due decenni, Violet sperò di essere rilasciata, scrivendo diverse suppliche.

 

Nel 1940, quando Mussolini dichiarò guerra alla Gran Bretagna, Violet scrisse al primo ministro Winston Churchill che, nel 1927, aveva lodato il duce, mentre lei rivendicava di aver tentato di ucciderlo, ed espose pure un piano di intervento dell'Inghilterra, nonché una supplica per farla rilasciare. Ma le sue lettere rimasero sempre nell'archivio dell'ospedale.
 

La rivalutazione storica di Violet Gibson

Mannix Flynn, consigliere comunale indipendente a Dublino, regista e scrittore, nel 2004 ha pubblicato anche in Italia con la casa editrice Giano il romanzo Niente da dire, tradotto da Enrico Terrinoni.  

 

Nel libro, il personaggio di Violet emerge in una prospettiva del tutto nuova, sorprendentemente diversa da quella di pazza, cui la relegò l'attentato a Mussolini. In Irlanda la ricerca storica ha iniziato da qualche anno a rivalutare questo personaggio. Il suo percorso di vita, ricostruito in testi, articoli e documentari tramanda la storia di una donna di nome Violet Gibson che fu una donna straordinaria. 

 

L'apice di questo riscatto risale al marzo 2021, quando la città di Dublino ha deciso di porre una targa sulla casa dove Violet abitò da bambina per ricordare che non fu soltanto la pazza che sparò a Mussolini, ma una fiera antifascista attivista.

 

Violet Gibson innegabilmente ebbe difficoltà mentali, tuttavia è altrettanto inconfutabile che era dotata di una coscienza alta, di una lucidità inquieta, quasi una forma di preveggenza, troppo avanti per essere capita nel suo tempo e per questo fraintesa con una forma psicopatologica. Violet Gibson anticipò diversi momenti di emancipazione della storia dell'Uomo: sin da piccola rinunciò al suo ceto sociale aristocratico per elargire i benefici di cui godeva ai più poveri, mise in discussione il ruolo sociale di sottomissione alla famiglia e di fedeltà alla Corona britannica che la nobile famiglia tentava di imporle, rifiutò di servire l’imperialismo britannico e guardava alla res publica in una famiglia che da generazioni ricopriva ruoli governativi di primo piano nell’Irlanda pre-repubblicana.

 

Con la sua biografia si scrive una storia di coraggio delle proprie scelte: pensare di uccidere Mussolini, mito di un regime totalitario, significava mettere a rischio la propria vita. Questo attentato, come gli altri che si susseguirono negli stessi anni, ci parla della forza delle scelte. E fece queste scelte da donna (gli altri tre attentatori di Mussolini furono tutti uomini), in un contesto storico, l’inizio del Novecento, in cui le avrebbe pagate caramente.

 

Anticipò anche i movimenti di emancipazione femminista, comprendendo il valore che la donna poteva e doveva avere nella società del Secolo Breve, un valore tale da poter cambiare persino il corso della Storia. 

 

L'emancipazione fu anche in ambito religioso: non soltanto Violet rinnegò la fede protestante per scegliere quella cattolica, ma anche accolse l'approccio più difficile al cristianesimo: quello riconducibile al francescanesimo. Si può osare rileggere la sua esperienza alla stregua del Santo d'Assisi che si spogliò di tutti i suoi beni economici e sociali per vivere per il prossimo. Come san Francesco mi piace pensare che non poté essere compresa dal suo tempo, semplicemente perché lo aveva anticipato.

 

Fonti: