Etnocentrismo, esotismo e relativismo culturale sono tre vie per interagire con l’outgroup

Il rapporto con l’altro, lontano e diverso, può assumere diverse forme. Lo si può giudicare pessimo o desiderabile o comprenderlo, ma nessuna di queste vie porta a un vero scambio comunicativo

Etnocentrismo, esotismo e relativismo culturale sono tre vie per interagire con l’outgroup

Il susseguirsi degli sbarchi a Lampedusa e le confuse dichiarazioni circa il modo in cui l’Italia e gli altri paesi europei dovrebbero comportarsi nei confronti dei profughi riportano all’attenzione l’antica paura dell’altro. Un altro sconosciuto, o quasi, che non condivide i valori, le credenze e i modi di fare locali perché membri di un gruppo esterno: l’outgroup.
Nel corso della storia ci sono stati diversi momenti in cui la relazione con l’altro ha assunto una rilevanza mondiale e le risposte a queste necessità sono state diverse. Vediamone alcune.

 

L’etnocentrismo

Il termine etnocentrismo è stato introdotto in sociologia nel 1906 e fa riferimento a una concezione secondo la quale il proprio gruppo (qualunque tipo di gruppo, non solo quello etnico) è utilizzato come metro di misurazione per tutti gli altri. Generalmente il confronto è sempre in negativo e si tende ad enfatizzare le proprie caratteristiche, sminuendo le particolarità dell’outgroup. All’etnocentrismo si associa il familismo, fenomeno per il quale si privilegia la propria famiglia. L’etnocentrismo è un fenomeno sociale del tutto normale e che si ritrova in tutte le culture e forme di comunità umana. Se non sfocia nell’esasperazione questa preferenza garantisce la coesione del gruppo e il mantenimento dell’identità culturale.

 

L’esotismo

L’esotismo è un atteggiamento nettamente contrapposto al precedente: è caratterizzato dalla mitizzazione dell’altro che viene visto come perfetto o comunque dotato di caratteristiche desiderabili. A questa infatuazione per il diverso si associa una fuga dalla cultura di appartenenza che viene considerata negativamente. Spesso si assiste a una doppia disillusione: la prima è dovuta al fatto che la cultura altra non è mai perfetta così come era stata immaginata. La seconda fonte di amarezza è dovuta all’impossibilità di estraniarsi del tutto dal proprio gruppo di appartenenza.

 

Il relativismo culturale

Il relativismo culturale non è una via di mezzo tra i precedenti estremi, ma è proprio un modo specifico di relazionarsi con chi è diverso. Secondo Greenwood è definibile come "la comprensione di un'altra cultura alle sue condizioni in modo abbastanza simpatetico da farla apparire come progetto di vita coerente e significativo". Secondo questa visione quindi l’altro è da comprendere, perché sebbene viva in modo differente, le sue scelte non sono dovute al caso, ma sono frutto di una razionalità. È ovviamente necessario ricostruire lo scenario storico e sociale che influisce sul sistema valoriale e di credenze di ogni cultura. Comprendere non vuol dire fare propri questi valori, né giustificarli, ma semplicemente riconoscere che sono dettati da delle motivazioni.
Sebbene apparentemente possa sembrare la migliore scelta, anche il relativismo culturale ha dei forti limiti. Una visione di questo tipo non permette un vero incontro basato sul dialogo perché non stimola la comunicazione tra ambienti diversi, ma separa le culture che hanno valore solo al loro interno.

 

Fonte immagine: photl.com