Quando la condivisione porta all'esclusione sociale

La condivisione di esperienze straordinarie o fuori dal comune può portare paradossalmente all’esclusione sociale. Queste le conclusioni di uno studio che evidenzia i costi sociali legati al voler condividere momenti favolosi della propria vita.

Quando la condivisione porta all'esclusione sociale

Avete appena visitato un luogo di vacanza esotico e meraviglioso, oppure vi è capitato di stringere la mano ad un personaggio famoso, di esser saltati da un aeroplano o di aver assaggiato un vino pregiato?

Forse non vedete l’ora di raccontarlo agli amici, ma potreste rimanere molto delusi dalla loro reazione.

Queste le conclusioni a cui sono giunti gli autori di uno studio che suggerisce come la condivisione di queste esperienze straordinarie possa portare imprevedibilmente all’esclusione sociale, o per lo meno a sentirsi marginalizzati rispetto ai propri interlocutori, accomunati da semplici esperienze “comuni”. Vediamo perché.

 

Condivisione ed esclusione sociale

Lo studio arriva da due ricercatori delle università di Harvard e della Viriginia che hanno voluto esplorare il legame fra la condivisione di esperienze straordinarie e il senso di esclusione sociale a partire da quella che sarebbe stata una loro stessa esperienza personale.

Raccontare di aver vissuto un’esperienza fuori dal comune – che gli altri quindi non hanno sperimentato – può produrre un effetto paradosso: invece di porre l’“eroico” narratore al centro dell’attenzione può marginalizzarlo e portarlo all’esclusione sociale in quanto “diverso” dai propri interlocutori.

Il motivo? Secondo i due autori il paradosso si spiega col fatto che l’interazione sociale si fonda più facilmente sulle somiglianze e le esperienze che si hanno in comune, piuttosto che sulle differenze.

 

Quali sono i meccanismi dell'esclusione sociale?

 

I costi sociali imprevisti della condivisione di un’esperienza straordinaria

Per testare la loro ipotesi i due ricercatori hanno cercato di riprodurre artificialmente, in un assetto sperimentale, la situazione oggetto di studio.

I soggetti reclutati per la ricerca sono stati divisi in piccoli gruppi di 4 persone dove ad ogni partecipante veniva fatto vedere un filmato. I filmati non erano tuttavia equivalenti: in ogni piccolo gruppo 3 membri vedevano un filmato comune e noioso, mentre solo uno veniva esposto alla visione di un video più sensazionale che aveva ricevuto un punteggio massimo di gradimento.

Tutti i soggetti erano a conoscenza del tipo di filmato proposto agli altri e dopo la visione venivano riuniti insieme nel loro gruppo per parlare liberamente per alcuni minuti.

Ebbene: chi aveva visto il filmato più sensazionale e tentava una condivisione con gli altri, ben presto sperimentava una sorta di esclusione sociale nella misura in cui veniva in brave tagliato fuori dalla conversazione.

La discussione ben presto si concentrava sui filmati visti dagli altri che, per quanto noiosi, rappresentavano un’esperienza comune che questi condividevano.

 

Le aspettative deluse di chi si racconta

La cosa ancora più interessante è che il legame fra condivisione di esperienze straordinarie ed esclusione sociale non è prevedibile: chi aveva visto il filmato più noioso, se interpellato, immaginava che si sarebbe sentito molto meglio, nell’interazione successiva, se avesse potuto raccontare di aver visto il video con più alto indice di gradimento.

Pertanto non solo le persone sembrano avere aspettative non confermate riguardo alle conseguenze della condivisione di esperienze fuori dall’ordinario, ma, a quanto pare, non sono consapevoli dell’esclusione sociale e della marginalizzazione che operano nei confronti di chi le condivide quando stanno invece dalla parte di chi ha solo esperienze “ordinarie” da raccontare.

 

Cerchiamo la condivisione di esperienze comuni con chi non conosciamo

È vero dunque che le interazioni si basano su ciò che ci accomuna agli altri piuttosto che su quello che ci differenzia da loro? In parte senz’altro sì, certo è che dipende anche dai nostri interlocutori.

Possiamo ad esempio ipotizzare che la situazione sperimentale in sé stessa possa aver rappresentato già un elemento tutt’altro che “neutro” nel determinare il corso delle interazioni fra i soggetti coinvolti.

Lo studio in questione, infatti, raggruppava persone che presumibilmente erano dei perfetti estranei fra loro e si incontravano per la prima volta in occasione dell’esperimento, in una situazione dunque insolita, ambigua e nella quale ognuno di loro doveva interagire con dei perfetti sconosciuti.

Vien da chiedersi allora se questo non possa aver contribuito a rafforzare la tendenza delle persone a trovare elementi di condivisione su comunanze piuttosto che su differenze.

Quando ci troviamo in una situazione nuova con persone che non conosciamo difficilmente raccontiamo cose molto personali di noi, che ci differenziano dagli altri, ma cerchiamo anzitutto degli argomenti comuni di conversazione per istituire una dimensione di appartenenza che ci faccia sentire accettati all’interno di quel gruppo.

Condivisione ed esclusione sociale potrebbero quindi esser legate fra loro in modi differenti a seconda del livello di confidenza fra gli interlocutori? Voi che ne pensate?

 

Il senso di appartenenza al gruppo e i gruppi significativi dell’individuo

 

 

Per approfondire

> Lo studio delle università di Harvard e della Viriginia