Handicap e sessualità

Handicap e sessualità, due termini “hot”, due parole dense a cui spesso si accompagnano emozioni forti, contrastanti, archetipi spesso lontani dalla nostra consapevolezza.

Handicap e sessualità, due termini “hot”, due parole dense a cui spesso si accompagnano emozioni forti, contrastanti, archetipi spesso lontani dalla nostra consapevolezza.

Un tema scottante quello della sessualità, di cui tanto di parla, si narra, ma che ancora si teme: è purtroppo ancora molto difficile riconoscere la libera espressione sessuale di ognuno. Ancora di più se i protagonisti in questione sono persone diverse per condizione, differenti nell'espressione delle capacità comuni alla maggioranza, disabili.

E allora come si fa anche solo a pensare figurarsi ad accettare la libera espressione della sessualità di questi ultimi? Meglio inserire, in qualche modo, nella loro identità di disabili, l'impossibilità di aprire dentro di sé il capitolo sessualità. In loro e negli altri.

Ed ecco che diventa necessario trovare tutte le formule per “NON SVEGLIARE IL CAN CHE DORME”, per inibire, mortificare ogni possibilità di espressione amorosa e sessuale, per non trovarsi a gestire una questione così difficile.

Spesso nei piani di lavoro per i disabili non compare per niente un percorso di educazione sessuale, ai fini di un raggiungimento di un qualsiasi personale sviluppo sessuale. Mai, o almeno molto raramente accade che si riconosca all'organismo la possibilità di divenire interamente ciò che è nel proprio potenziale, ancor di più nella sfera affettiva e sessuale.

E' per questo che ritengo fondamentale occuparsi di un argomento da molti evitato, deviato, sublimato, come a doversi difendere da qualcosa che poi non possiamo controllare. Come se il nostro lavoro di educatori, psicologi, facilitatori fosse quello di controllare l'altro e le sue reazioni, di prevedere ed anticipare fin dove possa arrivare il suo sviluppo, e non quello di permettergli di essere semplicemente quello che è.

A mio parere è indispensabile promuovere per chiunque l'informazione sessuale (ovviamente in relazione alla capacità di comprendere dell'altro), soddisfare le curiosità, incentivare le relazioni: portare ogni persona ad una completa uguaglianza nell'espressione affettiva e sessuale. Ogni persona, disabile o non, avrà poi un suo modo originale ed unico di tradurre a livello comportamentale ciò che riterrà essere la sua sessualità, attingendo alla propria esperienza, alla propria sensibilità, alla propria storia ed anche al proprio handicap.

Federici (2002), alla luce del modello bio-psico-sociale, adopera il termine “sessualità alterabili” per riferirsi al ruolo degli stereotipi sociali, che alterano l’immagine del corpo e lo sviluppo dell’identità sessuale della persona disabile. L’Autore afferma che “l’identità sessuale degli individui con disabilità si costruisce in un percorso non facile di affermazione di sé e della propria “disability identity” e di confronto con l’immagine riflessa e introiettata della propria corporeità e del ruolo sociale”.

Tutti hanno diritto di vivere la propria sessualità, ed anche se le persone disabili non avranno una sessualità normale, avranno, come è normale che sia per un qualsiasi essere umano, una sessualità.

 

Dott.ssa Serena Romano