La Pet-Therapy: un coterapeuta a 4 zampe

Il cane è il miglior amico dell’uomo? E’ molto di più! Influisce così positivamente sulla vita del suo padrone che può contribuire a migliorarne la qualità soprattutto in situazioni patologiche comportamentali, motorie e psicofisiche. Lo psichiatra Boris Levinson nel 1961 parlò per la prima volta della cosiddetta Pet Therapy nel suo lavoro chiamato “Il cane come coterapeuta”. Vediamo in cosa consiste questa terapia assistita dagli animali

La Pet-Therapy: un coterapeuta a 4 zampe

La Pet Therapy è un intervento terapeutico mirato che prevede come parte integrante del processo l’impiego di animali dotati di caratteristiche specifiche. Lo scopo è il miglioramento del funzionamento fisico, sociale, emozionale e cognitivo del soggetto. Essa è efficace per il tipo di relazione che viene costruita e mantenuta con l’animale. Quando si parla di Pet Therapy si sta ad indicare l’ausilio di animali quali cani, cavalli – Ippoterapia - oppure si potrebbe anche indicare l’utilizzo di una fattoria didattica usando tutti i tipi di animali domestici che si preferiscono (il gatto, la mucca, e così via).

Il cane è l’animale più utilizzato, possiede la capacità di farsi intendere dall’uomo e molte volte di farsi interprete di situazioni ed emozioni che spesso sfuggono anche alle persone più sensibili. Nella Pet Therapy il cane viene scelto in base alla situazione psicologica e diagnostica del soggetto, in modo tale da favorire un tipo di “aggancio” positivo sia alla terapia sia all’interpretazione. Ovviamente si parla di una relazione in divenire e la difficoltà maggiore consiste proprio nel costruire un tipo di contatto soddisfacente tra il soggetto e il cane per poi trasferirla sul terapista il quale rappresenta il mezzo e il soggetto della relazione stessa. Durante le sessioni di Pet-Therapy ci saranno momenti in cui il/la  paziente lavorerà da solo con l’animale e altri in cui il terapista sarà promotore di stimoli per nuove conquiste e individuerà sia la motivazione della persona a parlare sia quella a giocare.

Affinché la Pet Therapy sia una pratica attuabile e affidabile è necessario che intervengano diverse figure professionali: psicologi, psicoterapeuti, psichiatri, psicomotricisti, logoterapisti, fisioterapisti, operatori della riabilitazione psichiatrica, figure di riabilitazione in ambito socio-sanitario, personale medico specializzato e veterinari, etologi.

 

La Pet-Therapy e i suoi contesti applicativi

Volendo delineare quelle che sono le patologie che meglio possono beneficiare delle Pet Therapy possiamo annoverare:

- bambini con disarmonia evolutiva (deficit cognitivi e psicomotori) o con autismo: in queste situazioni è importante entrare empaticamente in contatto con il bambino cercando di percepire e comprendere le sue ansie, le sue paure e i suoi limiti. Questo perché per i bambini l’interazione con un animale è qualcosa di nuovo, perciò è importante per loro sentirsi protetti e non forzati. I vantaggi terapeutici sono proprio nella stimolazione di nuove modalità comunicative ed espressive.

- Alzheimer: si cerca di far apprendere al paziente conoscenze nuove, la nozione di tempo, la capacità di orientarsi nello spazio, di riconoscere persone e cose e aumentare la capacità di concentrazione e cercare di mantenerla.

- Morbo di Parkinson: il primo obiettivo è quello di mantenere le capacità di concentrazione, di coordinazione, di deambulazione e di verbalizzazione. Inoltre, nell’interazione con il cane per esempio, viene offerto al paziente una possibilità di relazionarsi attraverso giochi semplici da cui trarre beneficio. Con questi pazienti bisogna favorire il contatto oculare tra il soggetto, il cane e l’operatore in modo da comunicare emozioni, sentimenti e desideri attraverso l’espressione del viso.

- Depressione: in questo caso scopo principale è migliorare la qualità della vita del soggetto (che in generale rappresenta l’obiettivo principale della Pet Therapy). Essenziale è il prendersi cura da parte del soggetto di un altro, rappresentato ovviamente dall’animale di riferimento. Questo spostamento di attenzione da sé all’altro porta ad un accrescimento della presa in cura anche di se stessi.

 

Fonte immagine: The Jewish Agency