Lo Psicologo Sportivo al servizio dello Sport Giovanile

Se chiedi ad allenatore di sport giovanile "Quali difficoltà incontri ogni giorno nel tuo lavoro?", probabilmente risponderà: "Rapportarmi con i genitori...sono la rovina dello sport"...
Ma è proprio così?
Il punto di vista di una Psicologa dello Sport

Lo Psicologo Sportivo al servizio dello Sport Giovanile

Introduzione

Negli ultimi anni l'ambito delle scienze psicologiche e sociali è stato caratterizzato da una sempre maggiore attenzione allo studio del benessere e della qualità della vita. All'inizio questi temi sono stati analizzati a partire da indicatori oggettivi quali il reddito, la salute fisica, le condizioni abitative ed i ruoli sociali.

Attualmente, tuttavia, è unanimemente condiviso che qualità della vita e soddisfazione sono concetti relativi: ogni individuo ne elabora un'interpretazione personale, in base alle proprie condizioni fisiche, ruolo sociale, caratteristiche psicologiche e stile di interazione con l'ambiente. Diventa così fondamentale identificare indicatori soggettivi di benessere, poiché un individuo valuta il proprio stato di salute, il livello di soddisfazione nell'ambito sociale, lavorativo e personale, i traguardi raggiunti e gli obiettivi futuri in base a parametri che possono differire anche profondamente dalle condizioni oggettive in cui si trova.

In ambito psicologico, lo studio del benessere soggettivo ha dato origine al vasto e sfaccettato movimento della Psicologia Positiva (Seligman e Csikszentmihalyi, 2000), le cui attività si sono sviluppate a partire da due prospettive principali.

1) La prima, definita edonica, comprende studi volti prevalentemente ad analizzare la dimensione del piacere, inteso come benessere prettamente personale e legato a sensazioni ed emozioni positive (Kahneman, Diener e Schwarz, 1999).

2) La seconda, detta eudaimonica, privilegia l'analisi dei fattori che favoriscono lo sviluppo e la realizzazione delle potenzialità individuali e dell'autentica natura umana (Ryan e Deci, 2001). Essa si riferisce al concetto aristotelico di eudaimonia, intesa come ciò che è utile all'individuo e ne arricchisce la personalità. L'eudaimonia comprende non solo la soddisfazione individuale, ma anche un percorso di sviluppo verso l'integrazione con il mondo circostante (Nussbaum & Sen, 1993).

La Psicologia Positiva ha fornito contributi fortemente innovativi a livello teorico ed applicativo, enfatizzando il ruolo fondamentale delle risorse e potenzialità dell'individuo, che le ricerche precedenti - volte ad analizzare carenze, deficit e patologie - non mettevano in luce. In tal modo si è attuato un autentico capovolgimento di prospettiva, privilegiando interventi finalizzati alla mobilizzazione delle abilità e delle risorse individuali.

 

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La Psicologia dello Sport: possibili applicazioni

E’ all’interno di tale orientamento teorico che può essere rintracciata una delle matrici fondamentali della Psicologia dello Sport, disciplina che si avvale dei contributi provenienti da diverse aree della Psicologia e delle Scienze Motorie e dello Sport. 
Se, ai suoi esordi, la Psicologia dello Sport si è occupata prevalentemente del miglioramento della prestazione sportiva di atleti di livello assoluto, attualmente uno dei suoi maggiori campi di interesse è la promozione del benessere legato alla pratica sportiva. In questo contesto, essa si avvale dei contributi della Psicologia della Salute, partecipa alla formulazione di programmi destinati all’attività sportiva giovanile e senile, indaga i processi motivazionali che favoriscono il coinvolgimento sportivo con l’obiettivo di prevenire abbandono precoce e sedentarietà, promuove programmi di attività sportiva che coinvolgono atleti portatori di handicap e affronta la problematica dell’uso di sostanze dopanti nello sport.
I contributi della Psicologia dello Sport, applicati al contesto delle società di avviamento all’attività sportiva, possono quindi costituire una risorsa importante affinché lo sport divenga occasione formativa per i giovani atleti e supporto per il loro corretto sviluppo motorio, cognitivo e socio-relazionale.

Come psicologa sportiva, mi capita molto spesso di ricevere lamentele di ogni tipo da parte di allenatori e dirigenti: " i genitori sono la rovina dello sport". E sempre più spesso, mi imbatto in situazioni di forte disagio e malessere  a carico dei piccoli che praticano attività sportiva...e anche le statistiche circa il drop out precoce parlano chiaro!

Onestamente, ritengo che le responsabilità di disagio e malessere in questo ambito stiano quasi sempre nel mezzo e che, all'interno di molti contesti sportivi, le varie componenti in gioco (allenatori, dirigenti, genitori) non sempre abbiano idee comuni circa gli obiettivi della pratica sportiva giovanile, nè adeguati momenti di confronto.

La qualità dell’esperienza sportiva del giovane e il significato che questa assume sono in buona parte determinate dalla rete di interazioni nella quale egli è coinvolto, sia con figure professionali che con persone significative all’interno dei vari contesti in cui si muove. Genitori e allenatori, comunicando più o meno esplicitamente le proprie aspettative e i propri valori culturali, svolgono un ruolo centrale nel processo di maturazione e acquisizione di indipendenza che questi intraprende attraverso lo sport. 
In questo senso, la figura dello psicologo dello sport può costituire una preziosa risorsa. Una risorsa che indirizza la propria attenzione sulle varie componenti del sistema in cui opera facilitando la comunicazione tra di esse e la condivisione degli obiettivi comuni, ovvero la promozione dell’attività sportiva come occasione formativa e fonte di benessere.