Denominare le emozioni: gli effetti sul cervello

Denominare verbalmente le emozioni che si provano attiva specifiche aree cerebrali responsabili dell’elaborazione cognitiva sottraendo la risposta emotiva al dominio dell’istinto e dell’irrazionalità

Denominare le emozioni: gli effetti sul cervello

Le emozioni, dal punto di vista psicologico, non sono altro che dei pattern di risposta psico-corporei che mettiamo in atto di fronte ad un accadimento che può suscitare in noi un moto di avvicinamento (rabbia o gioia per esempio) o di allontanamento (tristezza, disgusto etc.).

A partire dalle emozioni primarie più elementari, col procedere dello sviluppo psicologico e della socializzazione, in tutti noi si sviluppa la capacità di provare emozioni più complesse, sfumate e connesse con l’ambiente sociale, la consapevolezza di noi stessi e la presenza di altre persone (le vergogna, l’orgoglio o il senso di colpa per esempio).

Anche la nostra modalità di gestione delle emozioni cambia: da reazioni immediate e più o meno “istintive” diventano man mano risposte mediate da una certa capacità di elaborazione cognitiva e dalla nostra capacità di renderci consapevoli di ciò che priviamo e di quello che provano gli altri.

Viste in tale ottica, le emozioni cessano di essere solo riposte impulsive avvertite a livello corporeo (un batticuore, un crampo allo stomaco e così via), ma diventano segnali di cui la nostra mente può rendersi cosciente e che può utilizzare per prendere decisioni.

Come avviene tutto ciò? Imparando via via a denominare le emozioni, ad assegnar loro un nome che le renda verbalizzabili e quindi accessibili all’elaborazione cognitiva e alla comunicazione con gli altri.

 

Cosa vuol dire denominare le emozioni?

Estate, caldo, il clima mite e assolato regala innumerevoli frutti della terra che, spesso, si cerca di conservare in vista del grigio inverno che verrà. Ecco che si preparano marmellate e conserve di ogni sorta, con i frutti più disparati.

Ma, al momento di consumarle diversi mesi dopo, probabilmente non saremmo in grado di ricordarne esattamente il contenuto senza consultare l’etichetta che abbiamo messo sul barattolo.

Etichettare, denominare verbalmente le emozioni, ha un po’ la stessa funzione: avvertiamo un vago senso di turbamento, sentiamo magari un crampo allo stomaco o il cuore che sta accelerando… siamo arrabbiati? Forse invece proviamo una forte ansia? O, ancora, un moto di angoscia o di forte paura?

Finché rimaniamo in questa vaga situazione di attivazione fisiologica aspecifica avvertiamo solo un confuso senso di disagio che in qualche caso, per chi non ha molta “dimestichezza” con la propria vita emotiva, potrebbe risultare facilmente intollerabile spingendo impulsivamente a fare qualcosa, qualunque cosa, per mettere a tacere questa sgradevole sensazione: andare alla ricerca di un comfort food, darsi allo shopping eccetera.

 

Come si sviluppano le emozioni?

 

Il sistema limbico e le emozioni “impulsive”

Finché le emozioni non vengono denominate rimaniamo, per così dire, ostaggio dell’area più ancestrale del nostro cervello: il sistema limbicosembra dimostrato da alcuni studi che sia questa la sede delle riposte impulsive e istintive del nostro organismo, quelle di attacco/fuga per intenderci che vengono messe in atto immediatamente, come reazioni di allarme, quando non si ha tempo di ragionare sul da farsi: è come se il nostro organismo mettesse in moto una risposta automatica salva-vita.

Certamente per i nostri progenitori delle caverne, che rischiavano la vita  incontrando fiere e belve feroci, questo sistema doveva essere davvero utile e vincente!

Ma noi umani 2.0, noi uomini e donne del terzo millennio, il più delle volte non ci troviamo davanti a minacce di questo genere; le reazioni emotive che proviamo sono piuttosto provocate dalle relazioni sociali a cui partecipiamo, dai risultati che otteniamo, dai mille impegni che ci sovrastano o dal tempo libero che non sappiamo come impiegare.

In questi contesti di relazione – e non di sopravvivenza – è importante imparare a denominare le emozioni e a gestirle.

 

Denominare le emozioni in psicoterapia

È stato studiato che, quando siamo in grado di denominare le emozioni, assegnare un’ “etichetta” verbale a ciò che stiamo provando, il circuito cerebrale che fa capo al sistema limbico si depotenzia a vantaggio invece dell’attivazione di aree cerebrali più “evolute” come quelle relative alla corteccia prefrontale.

È la corteccia cerebrale, infatti, la sede del pensiero e del ragionamento ed è qui che si espletano le funzioni cognitive più sofisticate, quelle che fanno capo alla nostra umana intelligenza. Se siamo in grado di comprendere le emozioni che proviamo, di assegnare loro un nome, le rendiamo intellegibili anzitutto a noi stessi, che ne diventiamo consapevoli.

Questo ci aiuta a mantenere una giusta distanza dall’emozione provata, smorzandola in intensità, e rendendola più tollerabile. A questo punto forse saremo in grado di interpretare quel crampo allo stomaco come un moto di ansia e può darsi che a lungo andare non avremo più necessità di attivare segnali corporei tanto intensi.

Imparare a denominare le emozioni è un processo cruciale, tanto nello sviluppo psicologico del bambino, quanto nel lavoro psicoterapeutico: molti sintomi, molti malesseri psicologici che causano grande sofferenza alle persone sono connessi alla scarsa dimestichezza che esse hanno con la loro vita emotiva, imparare ad “addomesticarla” è uno degli aspetti più importanti del benessere psicologico.

 

Come si comunicano le emozioni?


Per approfondire:

> Emozioni e sentimenti: cosa sono