L'ansia da abbandono: l'amore non-amore

Ansia da abbandono, angoscia abbandonica, ansia da separazione. In qualunque modo la chiamiamo nel nostro immaginario si rievoca sempre la stessa scena: l'incapacità di sostenere la possibilità che l'altro se ne vada. Ma da dove nasce e come si evolve? Vediamo i vari passaggi e affrontiamo il tema partendo dalle origini: dal bimbo che va in allarme all'ansia da abbandono dell'adulto

Ansia da abbandono

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L'ansia da separazione, l'ansia da abbandono o l'angoscia abbandonica riempiono pagine e pagine di riviste rosa e blog al femminile: anche se la base neurofisiologica dell'ansia è qualitativamente differente dall'angoscia, vengono spesso usate come sinonimi, cosa che verrà fatta anche in questa sede (contravvenendo ai propri orientamenti teorici) per semplificare le cose.

Il punto centrale, infatti, è l'abbandono, o meglio, la separazione vissuta dalla persona come abbandono: ecco che scattano una serie di meccanismi e di comportamenti che tentano di arginare, contenere e allontanare la possibilità che l'altro se ne vada e che ci lasci soli con la nostra vita. Ma da dove ha origine l'ansia da abbandono? E come si sviluppa?

 

L'ansia da abbandono: le origini del problema

Harry Harlow aveva fatto un esperimento crudele ma molto illuminante con delle scimmiette appena nate: le aveva tolte al calore di mamma scimmia e le aveva messe in una fredda gabbia in cui aveva posto due mamme surrogate.

Una era di metallo, fredda e sterile, che però era in grado di elargire caldo latte; un'altra era morbida, comoda e accogliente, ma incapace di nutrire. Sapete che faceva la piccola scimmietta? Succhiava in fretta e in furia il suo latte per placare la fame e poi via di corsa dalla mamma di peluches. E vi ricordate delle ricerche di Renè Spitz negli orfanatrofi?

I neonati nutriti ma deprivati delle cure di mamma si lasciavano morire. Che cosa terribile. Ma ci aiuta a comprendere quanto sia importante quel fenomeno così inspiegabile che i "dottoroni" chiamano attaccamento e che io chiamo semplicemente amore.

Noi mammiferi nasciamo con un bisogno di cure e di nutrimento d'amore che, quando manca, ci segna per tutta la vita. I bambini che piangono i primi giorni d'asilo, che vanno in allarme quando non sono rispettati i tempi della separazione o quando questi si allungano troppo, non sono da rimproverare ma da comprendere, accogliere e contenere.

Esistono degli eventi nella vita che portano, per vari motivi, a costituire un attaccamento insicuro che, "a quanto pare", si trova alla base del disturbo di ansia da separazione diagnosticato come disturbo dell'età pediatrica dal DSM IV TR, ma anche alla base di relazioni patologiche segnate dall'ansia da abbandono che si manifestano nell'età adulta.

 

L'ansia da abbandono: quando ci colpisce da grandi

Vedere un bambino che va in allarme per la separazione dalla mamma viene interpretato come un evento "normale". Ma cosa accade quando è un adulto a soffrire di ansia da abbandono?

L'ansia da abbandono, o angoscia abbandonica, la possiamo scovare nelle forme di relazioni dipendenti che ci circondano, la troviamo nel disturbo di personalità dipendente, la scoviamo tra i tratti del carattere orale, la vediamo nell'annullamento di sé che si instaura nei rapporti d'amore e nella fuga che si scatena nel partner, nelle storie d'amore patologiche che le amiche ci raccontano al bar. L'ansia da abbandono è in realtà un'angoscia da abbandono.

L'angoscia, più dell'ansia, è profonda e penetrante: annulla lo spazio, il tempo, annulla il campo di coscienza dell'io e fa perdere lo sguardo su di sé e sul mondo.

 

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L'ansia da abbandono: una relazione patologica

Esistono delle relazioni fortissime scambiate per amore profondo ma che in realtà sono soggette alle leggi dell'ansia da abbandono di uno de partner. C'è uno dei due che si pone come "l'incapace" e che, automaticamente, investe l'altro di un grande potere: ogni cosa è fatta per evitare che l'altro vada via, per evitare quell'allontanamento vissuto come perdita e abbandono perché riattiva echi lontani di un bambino che ha vissuto una relazione affettiva genitoriale poco stabile, povera di nutrimento amorevole e affettivo.

Chi soffre di ansia di abbandono parla d'amore ma non lo sa provare, chiede amore, ma non sa come darlo, si dice innamorato, ma non sa cosa significhi, si perde nell'altro mantenendo il controllo della relazione: la sua posizione di persona "che non ce la può fare" è il ricatto narcisistico che porta il partner a sentirsi gratificato e a restargli accanto. Se uno dice: "senza di te muoio", l'altro ribatte: "senza di me muori". E l'incastro è compiuto!

Entrambi i partner sono persone incapaci di essere autonomi: l'uno vive per l'altro, ognuno cerca di colmare il proprio vuoto interiore attraverso il compagno, tentando di avere, inutilmente, nutrimento da una relazione che è sterile di per sé perché incapace di aprirsi e vivere in maniera onesta. Ma che succede quando il partner se ne va a chi soffre di ansia da abbandono? Spesso niente, se non la ricerca spasmodica di un nuovo partner che possa aiutarlo a placare e a sedare la sua ansia attraverso la sua finta presenza. Ma altre volte si ha la sensazione di morire, di disgregarsi, di andare letteralmente in pezzi.

 

L'ansia da abbandono: come superarla?

Come superare l'ansia da abbandono? Bella domanda. Riuscire a percepirsi come persone in grado di nutrirsi da sole, imparare a percepire il proprio vuoto interiore come uno spazio in cui poter accogliere se stessi e l'altro è complicato: non riusciamo a non investire le nostre storie d'amore di aspettative e bisogni che possono solo appesantire le nostre relazioni, rendendoci incapaci di vedere l'altro e di sentire i nostri reali bisogni.

Di ansia da abbandono penso che ne soffriamo un po' tutti, gestire le separazioni è complicato: a volte è così difficile che pur di non perdere il nostro pseudo-investimento amoroso finiamo per fagocitarlo, in modo che non possa più andar via. Recuperare se stessi, riconoscere i propri bisogni, imparare a guardare se stessi e l'altro per quello che si è il primo passo. Il secondo è farsi aiutare. Un percorso con uno psicoterapeuta è forse la strada migliore per poter vedere e attraversare tutto il dolore passato che alimenta e vive nel disturbo presente.

 

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