Pandemia e rispetto delle regole

C'è chi minimizza e chi osserva scrupolosamente le regole. Anche in questa emergenza assistiamo a comportamenti diversissimi. Quali motivazioni spingono il singolo all'uno o all'altro estremo?

forme di protezione coronavirus

Credit foto
©maridav / 123rf.com

Perché, in un momento di una pandemia, alcune persone sembrano rispondere più prontamente di altre e attenersi con più facilità alle norme comportamentali indicate dai governi e dagli scienziati? Se lo è chiesto Karen Wu, su Psychology Today, aiutandosi con quanto ci dice la letteratura sulle motivazioni che hanno guidato i comportamenti protettivi delle persone durante passate epidemie coma la SARS nel 2002 e quella da virus H1N1 nel 2009. 

 

Comportamenti in una pandemia

In linea generale, i comportamenti protettivi raccomandati in una situazione di emergenza epidemiologica come una pandemia sono di tre categorie:

 

  • preventivi (norme igieniche contro potenziali veicoli di infezione es. lavarsi spesso le mani);
  • evitamento/distanziamento sociale (evitare assembramenti, mantenere una distanza di almeno un metro ecc.);
  • buone prassi (quando e come consultare il medico, come e quando assumere o meno farmaci ecc.).

 

Cosa induce certe persone più di altre a rispettare queste raccomandazioni?

 

Età, genere e livello di istruzione: quanto fanno la differenza?

L’età può rappresentare un fattore interessante per spiegare i comportamenti protettivi delle persone durante una pandemia

 

Questo elemento non sembra avere un’influenza univoca, ma determinata in parte dal contesto culturale e sociale. Se in paesi asiatici, caratterizzati da un marcato senso della collettività, le persone più grandi di età durante la SARS del 2002 risultarono essere anche quelle più prudenti.

 

Una simile distinzione non si è osservata in paesi occidentali di natura anglofona, come l’Australia. E in altri, come durante la pandemia di influenza suina nel 2009, furono, sorprendentemente proprio i più giovani, ad osservare le norme con maggiore scrupolo forse perché meglio informati attraverso il sistema scolastico.

 

Anche il genere sessuale sembra rappresentare una discriminante interessante, poiché le donne sembrerebbero adottare con maggiore probabilità i comportamenti protettivi raccomandati. 

 

Questo, ipotizzano gli Autori, potrebbe essere dovuto al fatto che le donne – a causa di fattori culturali e sociali – sono maggiormente abituate a riconoscere e tener conto di una propria condizione di vulnerabilità personale (è il carico mentale che ogni donna, ad esempio, si porta dietro, come una sorta di “reataggio” ancestrale solo perché cammina di sera da sola per strada).

 

E, infine, anche il livello di istruzione, come l’età, può avere degli effetti, anche in questo caso non scontati, sui comportamenti protettivi delle persone. Se da un lato, fasce di popolazione con un livello di scolarità più elevato, possono avere maggiori strumenti per comprendere ragioni e benefici di certe raccomandazioni. Dall’altro, persone con minori livelli di istruzione si sono mostrate più inclini ad affidarsi alle raccomandazioni degli esperti.

 

La fiducia posta nelle Autorità durante una pandemia

Un aspetto rivelatosi importante, fra le motivazioni che sostengono coloro che adottano comportamenti protettivi, è quello della fiducia riposta nell’autorità. È noto come, nella maggioranza dei casi, tale elemento tenda ad aumentare fortemente durante un’emergenza pandemica, portando le persone a riconoscere più prontamente alle figure politiche e agli scienziati un ruolo autorevole e ad ascoltare le loro raccomandazioni.

 

A questo proposito, anche in Italia nel periodo della pandemia da nuovo cornavirus è emerso un aumento della fiducia nelle autorità pubbliche. Lo attesta lo studio “Coronavirus e fiducia” condotto dall’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione del Cnr attraverso un questionario proposto, nel periodo tra il 9 e il 14 marzo, a un campione di 4260 persone di tutta Italia, di età tra i 18 e 85 anni. Tale elevato livello di fiducia, secondo gli Autori, sembrerebbe essere motivato solo in parte da una dimensione “concreta” legata alla forte attivazione delle autorità e dall’appropriatezza/tempestività degli interventi attuati

 

In altra parte sarebbe associato a dimensioni più squisitamente psicologiche e non sempre consapevoli, come un’elevata percezione della minaccia e un senso di vulnerabilità che induce le persone a ricercare fonti affidabili di rassicurazione/protezione per ridurre l’incertezza e fronteggiare il rischio.

 

Asia e comportamenti protettivi: pregi e difetti

Un altro aspetto, piuttosto controverso, citato  dalla review di Bish and Michie, è quello dell’ansia. Se è vero che esiste un’ansia di stato, ovvero una risposta di allarme che tutti noi possiamo, in misura più o meno appropriata, esibire in contesti di emergenza. A questa dimensione “transitoria” si affiancano, e talvolta si sommano, almeno altri due “ingredienti”.

 

Il primo è l’ansia di tratto, nei casi in cui questo tratto si riveli patologico, le persone possono avere una modalità ansiosa di affrontare la vita, sopravvalutando le minacce rispetto alle possibilità di fronteggiamento e rischiando di essere ancor più vulnerabili agli “stati” di stress ed emergenza.

 

Il secondo fattore è l’effetto regressivo che hanno i comportamenti di massa. Questi posso contribuire a disattivare le capacità di pensiero critico e riflessione delle persone e inducendole, spesso, a uniformarsi irriflessivamente ad un determinato comportamento solo perché è ciò che fa la maggioranza

 

Grottesche dimostrazioni di questo fenomeno, in contesti pandemici, sono l’assalto ai supermercati per accaparrarsi scorte di generi di prima necessità di cui non ci sarà mai penuria o la ben più preoccupante corsa agli “armamenti” vista negli Stati Uniti in seguito alla proclamazione dello stato di emergenza per il SARS-CoV-2 (lunghe file davanti ai negozi di armi).

 

Da un lato, quindi, l’ansia, quella sana, può rappresentare un fattore che promuove comportamenti protettivi nelle persone durante una pandemia perché evita che venga sottostimato il pericolo e dirige l’attenzione consapevole alle norme da rispettare.

 

Ma, e lo vedevamo negli esempi citati prima, quando l’ansia diventa disfunzionale determinati comportamenti attuati con lo scopo di proteggersi (assicurarsi beni di prima necessità, difendersi) finiscono col rivelarsi paradossali ed esporre le persone a rischi maggiori.

 

Quanto conta l’autoefficacia: non siamo solo esecutori di “ordini”

Infine un’altra dimensione importante su quanto le persone siano in grado di riconoscere realisticamente la propria vulnerabilità davanti a una pandemia e a farvi fronte è quella dell’autoefficacia. È importante cioè che le persone possano sperimentare di avere strumenti validi a disposizione e si percepiscano in grado di attuarli e di esercitare così un controllo attivo sugli eventi.

 

Coloro che adottano più responsabilmente comportamenti protettivi, incluse misure di quarantena e distanziamento sociale, li ritengono effettivamente validi e li vivono non come esecuzione passiva di ordini impartiti “dall’alto”, ma come un atto responsabile derivante dalle proprie capacità di contribuire al contrasto della minaccia.

 

Questi aspetti non derivano solo da caratteristiche individuali, ma possono essere promossi e incoraggiati da strategie partecipative e di coinvolgimento attivo e solidale delle persone nel proporre mezzi per fronteggiare un’emergenza.