Forma Mentis, il saggio dell'Istituto Arbinger

“Forma Mentis: come diventare estroversi e vedere oltre noi stessi” è il recente saggio dell'Istituto Arbinger pubblicato in Italia da Piccin. Che cosa si intende per forma mentis estroversa e come può aiutarci a migliorare la nostra vita e le organizzazioni? Scopriamolo insieme!

Forma Mentis, il saggio dell'Istituto Arbinger

“È illuminante rendersi conto che non bisogna trattare le persone come oggetti, ma come persone.” (p.37).

Forma mentis è un saggio che illustra in che modo, decentrando il nostro atteggiamento da noi stessi all’altro, possiamo ottenere risultati inaspettati in ambito lavorativo e professionale.

Se pensavate che sul lavoro e nelle organizzazioni valessero solo la fredda razionalità e il famigerato mors tua vita mea, dopo aver letto il libro vi ricrederete: il benessere e il successo delle organizzazioni possono avvantaggiarsi molto di più di una logica improntata a quella dei giochi a somma non zero dove entrambe le parti trovano un beneficio nella loro transazione!

 

Cosa intendono gli Autori dell’ Istituto Arbinger per introverso/estroverso

Il saggio dell’Istituto Arbinger parla di forma mentis introversa e di forma mentis estroversa. Un chiarimento: i termini introverso/estroverso qui non sono intesi nei termini dei tipi psicologici junghiani.

Gli autori, come dire, prendono “a prestito” termini efficacemente noti anche nel senso comune per illustrare due diversi atteggiamenti che in ambito lavorativo e nelle organizzazioni possono fare la differenza sui risultati. Tradizionalmente è molto più comune incontrare impiegati dirigenti, singoli professionisti che nello svolgere il proprio lavoro, nel parlare con i clienti o nel promuovere la propria attività presso potenziali acquirenti facciano istintivamente ricorso a quella che gli Autori dell’ Istituto Arbinger definiscono forma mentis introversa.

Si è centrati quasi esclusivamente sul proprio obiettivo, sui propri vantaggi personali e si finisce per considerare le altre persone semplicemente come ostacoli o facilitatori per il raggiungimento delle proprie mete.

Questo, continuano gli Autori, finisce col portare a strumentalizzare gli altri, a concepirli in termini essenzialmente utilitaristici dimenticando di considerarli nelle loro qualità personali. Un esempio? Un dipendente potrebbe ostinarsi a ritenere impeccabile il proprio lavoro e a considerare altri responsabili dei problemi della sua azienda senza riconoscere mai veramente quanto il suo sia il contributo ad un risultato comune del quale anch’egli è responsabile.

Un rappresentante che debba promuovere i propri prodotti verso potenziali nuovo acquirenti o clienti da fidelizzare potrebbe considerare una “tortura” il suo dover pellegrinare da un posto all’altro nell’intento di convincere a tutti i costi gli altri ad aderire alla SUA offerta! Cosa cambia nel momento in cui si provi ad adottare una forma mentis estroversa?

 

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Passare da una forma mentis introversa a una estroversa

Nel saggio dell’Istituto Arbinger troverete moltissimi esempi illuminanti tratti da reali esperienze di consulenze aziendali svolte nelle più svariate organizzazioni. Ma, tanto per capire di cosa stiamo parlando, torniamo per un attimo al nostro rappresentante di cui pure si fa menzione nel libro: la sua azienda di famiglia produce fiori all’ingrosso.

Come convincere i potenziali compratori ad acquistare da lui nonostante la competizione oggi presente sul mercato? Molti vecchi clienti si sono allontananti nel tempo: come convincerli a tornare e come riuscire a non perderne altri? Finché il nostro rappresentante ha considerato quelle visite delle sgradevoli perdite di tempo non è riuscito a migliorare la situazione. Non se ne stava rendendo conto, ma aveva finito per considerare gli altri, i suoi reali o potenziali clienti, solo come oggetti, come teste vuote da convincere ad acquistare la merce che a lui serviva che acquistasse… A “lui”…capite? 

Il centro delle sue preoccupazioni era lui stesso, le sue esigenze: non le esigenze dei clienti! E questo lo stava portando ad allontanarsi sempre di più da loro. Fu nel momento in cui egli iniziò ad adottare una forma mentis estroversa che le cose cambiarono: iniziò a domandarsi cosa poteva servire ai suoi clienti, chi fossero, quali fossero le loro esigenze e… le risposte che ottenne cambiarono in meglio!

 

Caratteristiche della forma mentis estroversa

Sono tre, secondo gli Autori dell’ Istituto Arbinger, le caratteristiche di una forma mentis estroversa:

1. Vedere gli altri.

È quello che aveva iniziato a fare il nostro rappresentante di fiori all’ingrosso interessandosi ai propri clienti come persone dotate di motivazioni, bisogni, esigenze con cui empatizzare prima di proporre alcun che.

2. Adattare gli sforzi.

È solo dopo che siamo entrati in sintonia col cliente, abbiamo compreso quali siano le sue esigenze che possiamo iniziare a pensare che cosa sia più appropriato offrirgli e come! La famosa teoria del riuscire a “vendere il ghiaccio agli eschimesi” sembra decisamente… superata!

3. Valutare l’impatto.

Come consulenti, venditori, manager o semplici impiegati rimaniamo responsabili di ciò che abbiamo fatto/proposto al nostro cliente anche nel tempo a venire (anche il collega dell’ufficio accanto al nostro lo è in un certo senso: è un “cliente interno” che dipende in qualche cosa dal nostro operato per poter portare avanti il proprio lavoro: non operiamo mai in un vuoto sociale!). Interessarsi a valutare l’impatto di quanto si è fatto consente di capire se era davvero la strategia migliore per raggiungere gli obiettivi del nostro cliente, se dobbiamo aggiustare il tiro o se magari nel tempo le sue esigenze sono cambiate!

Se adottiamo una forma mentis introversa ci sentiamo responsabili nell’immediato, se abbiamo o no raggiunto il nostro obiettivo a breve termine. Se adottiamo una forma mentis estroversa, diventiamo responsabili del processo e siamo in grado di monitorare le conseguenze delle nostre azioni ed avere una visione d’insieme che ci consente di orientarci per il futuro.

 

Forma mentis estroversa e giochi a somma non zero

Se leggerete il libro scoprirete che la forma mentis estroversa, come viene proposta dagli Autori, può avere delle implicazioni molto complesse e articolate per il benessere delle organizzazioni.

Leggerete storie inaspettate, dove questo cambiamento di paradigma ha portato a risultati inimmaginabili spesso riuscendo a tirare fuori, non senza fatica, le migliori potenzialità dei singoli: elementi un una “catena di montaggio” che hanno finalmente iniziato a sentirsi delle persone all’interno della propria organizzazione e a considerare gli altri come tali.

In questo senso potremmo dire che una forma mentis estroversa è quella che consente di operare in un gioco a somma non zero: al posto di una competizione dove il vantaggio di uno viene perseguito ignorando/calpestando quello dell’altro, c’è una cooperazione dove il miglior risultato è quello che consente a tutte le parti in gioco di ottenere un beneficio.

 

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