Guardiamoci in un film: intervista a Vanna Iori

L'utilizzo dei cinema all'interno dei contesti formativi si sta diffondendo sempre di più: un film può ispirare comportamenti e visioni del mondo e insegnarci a riconoscere e gestire le nostre emozioni. Abbiamo intervistato la professoressa Vanna Iori, curatrice del libro "Guardiamoci in un film. Scene di famiglia per educare alla vita emotiva" per saperne di più

Guardiamoci in un film: intervista a Vanna Iori

Arriva in libreria, edito da Franco Angeli, Guardiamoci in un film. Scene di famiglia per educare alla vita emotiva: un libro pensato per i genitori, gli educatori, gli insegnanti e i formatori che mostra come guidare – utilizzando i film – i ragazzi a scoprire e coltivare l’intelligenza emotiva. Il testo è corredato di pratiche schede filmiche, esemplificazioni e indicazioni educative, che parlano di tutte le tonalità emotive della quotidianità educativa. Abbiamo intervistato la curatrice del volume, la professoressa Vanna Iori, ordinario di Pedagogia e direttore scientifico del gruppo di ricerca e formazione "Eidos".

 

Il cinema influenza il nostro immaginario e ispira modelli di comportamento e sistemi valoriali: come avviene il rispecchiamento in un film?

Guardare un film è sempre, guardarsi “in” un film (come invita a fare il titolo del libro) perché ogni film parla di noi, delle nostre storie, delle nostre attività, delle nostre esperienze e degli stati d’animo che le accompagnano. Proiettando sullo schermo la nostra vita il cinema ci permette di osservarci specularmente nelle situazioni che ci corrispondono e ci coinvolgono. I fotogrammi di vita riportano sullo schermo il nostro mondo interiore e noi possiamo scoprire nuovi aspetti della vita, anche dolorosi, ma “al riparo”, nella zona franca della poltrona di spettatori, dove possiamo identificarci con i personaggi e immedesimarci nei loro vissuti, senza perdere, quando si riaccendono le luci, quella retrocoscienza di sollievo (“per fortuna io sono qui, al riparo da quei pericoli”) o di delusione (“purtroppo sto solo sognando una realtà molto distante dalla mia vita”). In ogni caso non usciremo dal cinematografo come ne siamo entrati, avremo sempre imparato qualcosa di noi.

 

Qual è la valenza pedagogica del cinema?

L’utilizzo del cinema nei contesti formativi è un’acquisizione consolidata e un’esperienza sempre più diffusa. Il cinema può ispirare modelli, comportamenti, scelte e visioni del mondo che non solo rappresentano la vita ma la trasformano. E in questo potenziale trasformativo sta la sua valenza pedagogica.

 

Nelle storie del grande schermo c’è sempre stata attenzione per la famiglia e la sua rete di rapporti disfunzionali e non: c’è un film in particolare che può fare da modello per la formazione emotiva?

La famiglia è uno dei temi prevalenti nella storia del cinema. L’evoluzione della fisionomia familiare nel Novecento, con le nuove problematiche che l’hanno accompagnata, è stata scandagliata  da diversi film che spesso riescono a farci capire ciò che sta accadendo anche nella nostra famiglia, prima e meglio delle ricerche psico-sociologiche. Ma soprattutto sa indicare le zone d’ombra nascoste nelle pieghe della normalità. La molteplicità delle relazioni familiari non consente perciò di individuare un film particolare che possa fare da modello per la formazione emotiva. Se negli anni Sessanta la cinematografia americana aveva iniziato a mettere in evidenza i lati pedagogicamente pericolosi delle normalità di facciata (I segreti di Philadelphia, Scandalo al sole, Dalla terrazza), è stato soprattutto Family life a denunciare la distruzione psichica che una soffocante educazione familiare può provocare.

 

Oggi è in corso una difficile ricostruzione del ruolo genitoriale, ancora incerto sui nuovi modelli educativi e sulle responsabilità che vi corrispondono. Questo passaggio cinematografico è presente nei film di Woody Allen (Interiors, Un’altra donna, Alice). Nel cinema italiano trova particolare efficacia nei film di Francesca Archibugi (Mignon è partita, Verso sera, Il grande cocomero, L’albero delle pere, Questioni di cuore) e di Nanni Moretti (dall’episodio dell’isola dei figli unici in Caro diario alle apprensioni paterne in Aprile, al coinvolgimento dei figli nella separazione de Il Caimano, fino al dolore e al lutto de La stanza del figlio). Nel rappresentare una quotidianità familiare in continua evoluzione, la macchina da presa ci porta attraverso una molteplicità di interni familiari: dalla variegata parentela ricca di presenze (Via col Vento, Novecento, Amarcord) alla famiglia minima, complessa e frastagliata (Segreti e bugie, Mio fratello è figlio unico, Another year), comprendente anche genitori putativi (About a boy, Il ladro di bambini).

 

Il cinema ha scandagliato con sguardo tragico o ironico le criticità irrisolte e le quotidianità morbose o alienate (Festen, The Hours, A serious man). I rapporti di coppia o genitoriali, i legami e le relazioni intergenerazionali sono stati ben rappresentati da film quali: La famiglia di Scola a Segreti di famiglia di Coppola, passando per le pellicole dove vengono messi a fuoco i lati più oscuri e dolorosi delle relazioni familiari (Scene da un matrimonio), i conflitti (Hannah e le sue sorelle, Billy Elliot, Parenti serpenti), le gelosie (Come due coccodrilli), le separazioni di coppia (Kramer contro Kramer, La guerra dei Roses, La prima cosa bella) fino alle violenze (Le onde del destino, La bestia bel cuore); ma anche l’amore di madri e padri (Forrest Gump, La vita è bella), la solidarietà (Fiori d’acciaio, Rain man, La nostra vita), la comprensione e l’accoglienza di fronte alla sofferenza (Il mio piede sinistro, L’olio di Lorenzo).

 

Un film non si guarda solo con gli occhi: in cosa consiste la visione riflessiva?

Ci sono film che dimentichiamo dopo pochi giorni e altri che rimangono dentro di noi per sempre: quelli che in poche decine di minuti ci hanno insegnato qualcosa di noi stessi e degli altri, ci hanno inquietato o turbato, ci hanno svelato mondi possibili attraverso fotogrammi di auto-formazione. E il lavoro su di noi non è terminato con la visione; continua con la riflessione e la condivisione di interrogativi e risposte, anche dopo anni. La condizione di osservatori esterni ci consente di cogliere nella rappresentazione ciò che tante volte non riusciamo a cogliere con altrettanta chiarezza nella realtà in cui siamo immersi. I film diventano così “ri-flessi che ri-flettono” aspetti di vita. Il libro Guardiamoci in un film propone suggerimenti per una visione riflessiva che cerca di accompagnare genitori ed educatori a interrogarsi sui propri vissuti emozionali affinché possano guidare i ragazzi a scoprire e coltivare l’intelligenza del cuore.

 

Molto spesso per un bambino o un adolescente non è facile parlare delle proprie emozioni a un genitore o a un educatore: in che modo può essere d’aiuto l’educazione emotiva?

Dentro il vasto orizzonte filmico sulla famiglia abbiamo ritenuto utile restringere il focus di interesse alla relazione genitoriale con bambini e ragazzi preadolescenti e adolescenti, privilegiando lo sguardo sui vissuti emotivi. Le emozioni e i sentimenti sono infatti un aspetto importante nella crescita dei figli, ma sono anche la dimensione con la quale gli adulti hanno minore dimestichezza, verso cui si sentono essi stessi fragili e spaesati, sprovvisti di parole. In questo libro si parla di paura, noia, rabbia, gelosia, delusione, vergogna, dolore, tristezza, gioia, e di tutto il caleidoscopio delle tonalità emotive.

 

I bimbi imparano fin da molto piccoli a nascondere o zittire le paure, le gelosie, la rabbia, l’invidia, la vergogna ed altri moti dell’animo che  sono mal tollerati o denigrati dagli adulti. Crescendo si trovano a dover attraversare situazioni dense di emotività senza possedere un’adeguata consapevolezza e, spesso, privi di lessico. La visione filmica può aiutare la riflessione su questi temi, per quanto la sola visione non sia sufficiente. È rilevante che sia un adulto, preferibilmente un genitore, ad alimentare o assecondare il desiderio di approfondire le manifestazioni dei vissuti. Il solo fatto di parlare o di stimolare domande sui sentimenti percepiti nella scena del film è un modo per insegnare a domandarsi che cosa prova una persona, come lo manifesta, quali processi producono determinati moti dell’animo e come questi si traducono in comportamenti.

 

Con bambini dai 5 ai 10 anni è possibile un intervento ludico e di rielaborazione creativa tramite il racconto o il disegno. Con il progredire dell’età si può entrare nel merito delle reazioni emotive suscitate dal film. Qualsiasi tecnica si utilizzi, costruire assieme il lessico per nominare ciò che avviene nella vita interiore è il primo requisito per la consapevolezza emotiva. I genitori, gli insegnanti e gli educatori possono insegnare l’importanza dell’ascolto di sé per capire da dove nascono alcuni stati d’animo. L’educazione emotiva ha inizio dall’accettazione e dal rispetto delle proprie emozioni. Commentare un film consente di parlare di un personaggio, di una storia, di una situazione, e dunque di continuare ad usare lo “schermo” per riuscire in realtà a parlare di sé, e del proprio mondo interiore.

 

Imparare a riconoscere le proprie emozioni anche grazie a un film: quanto è importante il cinema per la nostra crescita personale?

Sullo schermo  noi possiamo “ri-conoscere” le emozioni, nel duplice senso di conoscerle per la seconda volta, rivivendole, e nel senso di scoprirle, identificarle. Entrare in contatto con le proprie risorse emotive, accoglierne la manifestazione come occasione di conoscenza di sé e degli altri, imparare ad esercitare una scelta secondo un principio di valore, non può che svolgere una evidente funzione di crescita e di realizzazione della propria umanità nel rispetto e nella compartecipazione di quella altrui. E attraverso molti, opportunamente scelti, film questo è possibile.

 

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