Se anche i marines in guerra praticano la meditazione…

Apparentemente meditazione e guerra sembrerebbero agli antipodi per le filosofie e le ideologie che le sottendono, ma i benefici diretti e indiretti sulla mente recati da una pratica "laica" della meditazione non sembrano avere confini...

Se anche i marines in guerra praticano la meditazione…

Morale, coesione e spirito di corpo costituirebbero quel fattore che fa la differenza per la vittoria in battaglia molto più del semplice uso della forza. Secondo gli psicologi gli esiti delle azioni militari dipenderebbero da fattori strategici, psicologici e tecnologici molto più di quanto stereotipalmente si possa pensare. In quest'ottica, il progetto preso in considerazione dal dipartimento della difesa americano, di insegnare la meditazione ai marines nelle zone di guerra sembrerebbe tutt'altro che una stravaganza.

La notizia è piuttosto recente e apparentemente ha dell'incredibile: insegnare ai marines la pratica della meditazione così da aumentarne la resistenza psicologica nelle zone di guerra. Questa in sostanza l'ipotesi che l'esercito americano starebbe prendendo in considerazione sulla scia delle ricerche neuroscientifiche degli ultimi anni che avvalorerebbero i benefici di questa pratica sul funzionamento mentale, il benessere psicologico e la concentrazione. Un impiego quanto mai "laico" e inusuale di una pratica millenaria derivata da tradizioni filosofiche e religiose tutt'altro che affini all'arte della guerra.

 

Insegnare la meditazione ai marines

Secondo quanto riportato sul New York Times Magazine, il dipartimento della difesa americano avrebbe approvato un progetto pilota per insegnare la pratica della meditazione ai militari del corpo dei marines impegnati nelle zone di guerra. La psicologa Amishi Jha ha lavorato in tal senso con i militari delle Hawaii insegnando loro a praticare 12 minuti al giorno di meditazione per mantenerne alta la concentrazione e l'attenzione e aumentarne la resistenza psicologica. I risultati sembrerebbero incoraggianti a dispetto dello scetticismo che in ambito scientifico ancora grava nei confronti della meditazione e di tecniche da essa derivate.


Meditazione e guerra: una contraddizione in termini?

Certo, a prima vista può sembrare una contraddizione in termini se pensiamo che le pratiche di meditazione risalgano a tradizioni filosofiche e religiose che predicano l'armonia col Tutto e il rispetto per ogni forma di vita sulla terra. E può sembrarlo ancor di più se ci fermiamo a identificare stereotipalmente la guerra con il semplice uso della forza e della sopraffazione.

In realtà in questo caso si fa riferimento ad un uso essenzialmente “laico” delle tecniche derivate dalla meditazione orientale - e che trova sua la più diffusa espressione ad esempio nella pratica della Mindfulness – per ottimizzare la resilienza e la resistenza allo stress tenendo conto di quanto siano importanti i fattori di natura psicologica, e non solo fisica, nell’ambito militare.

 

La coesione del gruppo porta a vincere una guerra

Secondo gli psicologi gli aspetti più importanti per il successo delle azioni militari di un esercito sarebbero: morale, coesione e spirito di corpo; se un militare sente apprezzato il proprio impegno per una causa comune, si sente parte integrante di un gruppo di commilitoni (si pensi all’importanza simbolica della “marcia”) a cui è strettamente legato per dalla condivisione di esperienze altamente coinvolgenti e nutre un sentimento di fierezza per la sua appartenenza, ottimizzerà il suo rendimento in battaglia (Costa, M., Psicologia militare. Il mestiere delle armi, Psicologia Contemporanea, 172, 2002, pp.40-49).

Mantenere alta la motivazione a far fronte ai pericoli per il vantaggio di tutti sarebbe, in altre parole, ben più importante rispetto al genio di un singolo leader.

 

Meditazione e coesione di gruppo

Sappiamo che la pratica della meditazione è associata alla produzione di stati di coscienza differenti da quello tipico dello stato di veglia. Oltre a ciò vi sono controversi ma interessanti studi che suggeriscono come, questa pratica, non si limiti ad influenzare soltanto il funzionamento mentale individuale, ma possa influenzare anche le menti di altre persone, più o meno vicine nello spazio, che praticano anch’esse la meditazione. La meditazione, in altri termini, potrebbe promuovere la comunicazione e la sincronizzazione non solo dei due emisferi di una stessa persona, ma anche tra i cervelli di due persone vicine amplificando in tal modo i propri effetti. Chissà che il successo della sperimentazione americana non possa esser dovuto anche a questo: meditare insieme, per persone come i militari che già hanno stabilito fra loro un elevato grado di coordinazione psicologica e comportamentale, potrebbe aumentare la resilienza non tanto del singolo marines, quanto del corpo militare nel suo insieme. Sarebbe un’ipotesi interessante per altre ricerche…