Psicologia e tecnologia: se un'App ti avvisa che sei depresso

Passare l’intero weekend da soli a casa, ridurre i propri contatti sociali via email o social network, rifiutare le telefonate degli amici… Sono questi alcuni dei “sintomi” che un’App, di recente invenzione, sarà in grado di intercettare per contrastare la depressione; che la psicoterapia del futuro posa ridursi ad un bonario monitoraggio virtuale fa a dir poco sorridere…. Vediamo allora meglio il rapporto fra psicologia e tecnologia.

Psicologia e tecnologia: se un'App ti avvisa che sei depresso

Proviene dai ricercatori della Northwestern University Feinberg Medical School lo sviluppo di nuove applicazioni multimediali per il trattamento della depressione: un’App installata sul telefono in grado di monitorare le abitudini dell’utente, rilevare eventuali segnali di isolamento e ritiro sociale e incoraggiare la persona ad uscire e a vedere gli amici. Un distillato di senso comune e buoni consigli insomma… A questo si ridurrebbe il legame fra psicologia e tecnologia?

 

La psicologia e la tecnologia del buon senso

Nel film Baciami ancora di Gabriele Muccino (2010), sequel della pellicola del 2001, Claudio Santamaria interpreta il personaggio di Paolo, un uomo cronicamente depresso, incostante nelle terapie così come nelle relazioni che, nonostante le sollecitazioni e l’affetto delle persone che ha intorno, sprofonderà nel proprio malessere fino all’epilogo più drammatico. Che si tratti di Un’App o di un amico in carne e ossa, difficilmente si “cura” un “depresso” semplicemente incoraggiandolo ad uscire e a vedere gli amici, se la psicologia utilizza la tecnologia a questi scopi rischia di ridursi al senso comune (Iannella, G., L’azione anti-psicologica del senso comune, Rivista di Psicologia Clinica, 2/2009) prospettando soluzioni di dubbia efficacia.

 

La tecnologia rende la psicologia conformista?

Può la tecnologia essere d’ausilio alla psicologia? Dipende essenzialmente dall’uso che si fa della tecnologia stessa. La App proposta sembra muovere dal presupposto “ingenuo” che vedere e sentire gli amici sia piacevole “di per sé”, come valore assunto a priori, e che, quindi, questo possa migliorare l’umore e prevenire l’isolamento sociale delle persone con un problema di depressone. Depressione che sembrerebbe riconducibile quindi ad un comportamento da correggere al fine di ripristinare conformisticamente un modello di funzionamento “normale” e socialmente accettato.

 

La psicologia della depressione

Un tale modo di vedere rischia di risultare inefficace di per sé, a prescindere dall’impiego o meno della tecnologia, in quanto scinde fortemente il problema della depressione, visto come individuale, dalle relazioni in cui il soggetto è inserito, quelle stesse relazioni che lo si vorrebbe tecnologicamente indurre ad incrementare. Il problema della depressione è in realtà anche e soprattutto un problema di relazioni proprio per il massiccio disinvestimento operato dal soggetto verso persone e attività esterne. Incoraggiamenti e commenti consolatori di vario tipo, reali o virtuali che siano, non farebbero altro che far sentire la persona ancora più sola e incompresa nel proprio malessere là dove un trattamento psicoterapeutico non-virtuale della depressione non può prescindere da un ascolto empatico del punto di vista del paziente (Glen O. Gabbard, Psichiatria psicodinamica, Cortina, 2007).

 

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