La quarantena: fra benefici epidemiologici e costi psicologici

La quarantena può avere effetti psicologici negativi anche nel lungo periodo, dopo la fine dell’emergenza. Per prevenire tali conseguenze, meglio puntare più sulla solidarietà che sulla paura.

quarantena disagio psicologico

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La pandemia da nuovo coronavirus ha attivato, non solo in Italia, misure di eccezionale rigore per contenere il rischio di un contagio esteso nella popolazione. I risultati di questa sorta di quarantena collettiva si possono osservare, in termini epidemiologici, in alcune settimane. 

 

Di ben più ampia portata possono essere le conseguenze dal punto di vista psicologico. Una rassegna di ricerca recentemente pubblicata su Lancet ci spiega come e perché.

 

Cosa accade nella mente delle persone in quarantena?

Sebbene il nuovo coronavirus SARS-CoV-2 non sia mai stato visto prima nell’essere umano, la storia passata, più e meno recente, non è nuova a epidemie e pandemie che hanno reso necessarie misure di quarantena e distanziamento sociale diversamente estese nel tempo e nella popolazione. 

 

Se il rimando alle peste nera del ‘300 può suonare oggi desueto (per quanto proprio da lì provenga il razionale delle misure di quarantena tutt’oggi adottate), più recenti epidemie – come quella di SARS, MERS, HIN1 e Ebola – hanno già confrontato l’umanità dei tempi moderni con pericoli epidemiologici che a quanto pare non appartengono solo al passato.

 

Ogni infezione, ogni virus e ogni malattia è diversa; ma c’è un comun denominatore importante dal punto di vista psicologico: come la mente delle persone può reagire a misure di contenimento e isolamento sociale in periodi come questi e cosa quindi le esperienze passate possono insegnarci per far sì che i vantaggi della quarantena in materia di sanità pubblica non siano accompagnati da elevati “costi” psicologici

 

Un gruppo di ricercatori del King’s College di Londra si è posto proprio questo obiettivo nell’effettuare una rassegna della letteratura già esistente riguardo agli effetti psicologici delle misure di quarantena osservati in precedenti epidemie “moderne” quali quelle prima accennate.

 

Mantenere, seppur a distanza, i contatti sociali, avere informazioni chiare, recepire l’utilità delle misure adottate e sviluppare un senso di solidarietà. Questi alcuni dei fattori che, secondo i ricercatori, risulterebbero protettivi per il benessere psicologico durante periodi di quarantena

 

Cittadini del mondo globale bloccati in casa…

Essere in quarantena e sperimentare delle forti e inedite limitazioni alla propria libertà personale, mentre “fuori” imperversa una minaccia sconosciuta che ha reso improvvisamente il nostro mondo iperefficiente caotico e incontrollabile…. 

 

Questi elementi rendono un situazione di questo tipo assolutamente peculiare al giorno d’oggi, con impatti psicologici molto diversi da quelli che poteva avere, ad esempio, la quarantena per un’epidemia di peste nel Medio Evo e oltre. Certo, alcune forme di stigmatizzazione, sciacallaccio e caccia al “colpevole” di turno ci sono e ci sono sempre state: la mente umana quando non riesce a controllare la reale fonte della minaccia trova facilmente un capro espiatorio… Ma le somiglianze finiscono qui.

 

Le persone che vivevano in queste epoche avevano un’aspettativa di vita molto minore, la morte o emergenze economiche/alimentari erano all’ordine del giorno (si pensi alle carestie) e non si conosceva altro mondo politico/sociale se non quello in cui il popolo era assoggettato al potere dominante. 

 

Concetti come autodeterminazione, privacy e libertà individuale erano pressoché ignoti nel mondo manzoniano. La peste colpiva il corpo, mieteva vite, certo (in percentuale altissima), ma la malattia e le misure di contenimento necessarie a combatterla non mettevano in pericolo di vita un sistema sociale, dei diritti civili, una certa visione del mondo

 

Si davano per scontato certe limitazioni alla propria libertà individuale così come l’essere più o meno alla mercé di eventi biologici e naturali che potevano improvvisamente determinare le possibilità di vita o di morte delle persone.

 

Oggi no, oggi l’imperversare di una pandemia con le restrizioni che la accompagnano pone in crisi anzitutto i diritti democratici e civili cui siamo abituali, o meglio: pone in crisi la forma e modalità con cui siamo abituati di poterne/doverne usufruire. Il diritto alla Salute è riconosciuto un diritto per tutti da tutelare con priorità ed è esso stesso un fondamento delle istituzioni democratiche (o dovrebbe esserlo). Oggi in Italia ci tocca lo sforzo di riscoprire una dimensione comunitaria – e non solo individuale – della democrazia (intesa, non certo a caso, come partecipazione alla cosa pubblica: quel che accade ad altri può riguardare anche me viceversa). E, da cittadini “liquidi” e globali cui siamo, ci viene richiesto di confrontarci con l’ignoto, l’incontrollabile, ciò che scombina i nostri piani e mette in discussione quella che era apparentemente un’onnipotente possibilità di movimento e scelta individuale.

 

Da questa premessa andiamo dunque a vedere, in base alla review pubblicata dai ricercatori di Londra, che impatto possono avere le misure di quarantena per noi uomini e donne del terzo millennio e quali criticità e risorse possiamo individuare da un punto di vista psicologico.

 

I “costi” psicologici della quarantena

Dagli studi attualmente esistenti sulle conseguenze psicologiche dei periodi di quarantena relativi alle epidemie di virus come SARS, MERS, HIN1 e Ebola, un primo dato importante emerso è che, se mal gestite, queste misure restrittive, sebbene indubbiamente necessarie ed efficaci sul piano epidemiologico, possono associarsi a dei “costi” psicologici elevati in alcune categorie di persone. 

 

Effetti come ansia, depressione, disturbi fobici e ossessivi, abuso di alcol e sostanze possono permanere a lungo dopo la fine dell’emergenza e gravare soprattutto su coloro che hanno già disturbi psicologici pregressi e/o problemi relazionali (coppie e famiglie sono costrette ad una convivenza forzata h24 in simili circostanze). 

 

In alcuni casi, riscontrati soprattutto fra gli operatori sanitari, sono stati osservati anche veri e propri disturbi post traumatici da stress.

 

Elementi particolarmente critici in questo senso sono risultati essere: informazioni poco chiare e confuse, difficoltà a garantirsi beni di prima necessità, impossibilità di lavorare, stigma sociale (ricordate la ricerca del “colpevole”?) e una durata indeterminata della quarantena (non sapere quando finirà) o un suo ripetuto prolungamento; questi ultimi fattori di ordine temporale risultano essere, secondo gli Autori, fra i più rischiosi, psicologicamente parlando.

 

Autoefficacia e comportamenti protettivi per la salute

I fattori di rischio sugli esiti psicologici della quarantena e i disturbi ad essa associati sembrano evidenziare una cosa fra le altre: che un approccio esclusivamente coercitivo e basato sulla paura può rivelarsi limitato nella su efficacia a lungo termine. Perché questo?

 

Anzitutto, come molti studi in psicologia della Salute evidenziano da tempo, le persone adottano più efficacemente comportamenti protettivi per la salute (compreso rispettare le restrizioni imposte da un periodo di quarantena) se da meri “ordini” cui obbedire diventano degli atti di responsabilità e scelta individuale. Affinché ciò possa avvenire – e in questo concorda da review in questione – è fondamentale anzitutto che le persone possano avere accesso ad informazioni chiare e attendibili (il fenomeno dell’infodemia ci evidenzia quanto ciò a volte sia difficile) che le mettano in condizione di comprendere la reale utilità dei sacrifici adottati.

 

In primo luogo quindi, le persone adottano dei cambiamenti nel loro stile di vita (permanentemente o temporaneamente come in questo caso) non perché viene semplicemente detto loro di farlo, ma nella misura in cui ne condividono effettivamente i vantaggi, questo le rende protagonisti attivi, e non esecutori passivi, del cambiamento.

 

In secondo luogo, le persone accettano certi comportamenti ritenuti utili per proteggere la salute (propria o di altri) anche nella misura in cui sentono di poter essere in grado di metterli in pratica e mantenerli nel tempo. 

 

Gli stessi Autori dello studio in questione sottolineano come sia importante per le persone in isolamento, non solo avere informazioni chiare su quello che succede, ma anche poter contare su sostegni affidabili in termini economici e di generi di prima necessità.

 

Diversamente si alimenta un conflitto nella mente delle persone dove la salute rischia di apparire come un bene in mutua esclusione con la sussistenza economica e sociale alimentando possibili comportamenti contraddittori, ansia e stress

 

Il rischio, in questi casi, è che qualunque cosa una persona faccia (privilegiare le restrizioni o derogarvi parzialmente per preservare necessità lavorative ad esempio) si senta sempre dalla parte “sbagliata” e viva comunque un senso di pericolo per la propria sopravvivenza (fisica o psicologica, nel breve o lungo periodo).

 

La solidarietà che fa la differenza

Le persone, insomma, posono sviluppare una certa capacità di resilienza e cooperazione, anche a misure restrittive come quella di quarantena, soprattutto nella misura in cui ne condividono l’utilità, sentono di avere il potere quindi di contribuire concretamente, con i loro comportamenti, a cambiare le cose sia per sé che per gli altri. 

 

Gli esseri umani, in altre parole, sono disposti anche a modificare i propri stili di vita, facendo dei sacrifici, ma possono farlo, mantenendosi psicologicamente sani, soprattutto se percepiscono che questi comportamenti sono validi e in grado di far sentire loro stessi utili ed efficaci nell’essere parte attiva del contrasto all’epidemia.

 

In tal senso, ricordano gli Autori, anche le nuove tecnologie e i social network possono risultare una risorsa importante per mantenere i propri contatti sociali, contribuire a veicolare corrette informazioni (che possibilmente includano anche notizie “positive” relative ad esempio anche ai casi di guarigione) e atteggiamento prosociali (anziché di odio e stigmatizzazione) verso gli altri.

 

Insomma, dalla tastiera del proprio smartphone o pc ognuno può avere una responsabilità/possibilità molto più grande di quanto creda per fare la differenza.