Femminicidio, parlarne sempre

L’anno scorso purtroppo il femminicidio è stato a lungo la “notizia del giorno”, ma come fare a non dimenticare? Di femminicidio si muore, sempre.

Femminicidio, parlarne sempre

Ogni giorno muoiono delle donne; donne che hanno detto di no, donne che volevano decidere della propria vita, donne che avevano delle opinioni.

Il femminicidio cos’è esattamente?

La Treccani la definisce “Uccisione diretta o provocata, eliminazione fisica o annientamento morale della donna e del suo ruolo sociale”. Si tratta di un fenomeno complesso che include l’atto finale che pone fine alla vita della donna, ma si allarga anche a tutto il processo sociale sminuisce il ruolo della donna e alle relazioni annientanti che precedono l’omicidio.

La componente sociale del fenomeno va contrastata anche ponendo alla ribalta il problema che si costruisce giorno dopo giorno.

Ecco perché di femminicidio bisogna parlarne sempre, anche se non è la notizia del giorno, perché alcuni fenomeni contribuiscono a sbiadire il ricordo e sminuire l’importanza e la portata degli omicidi.

 

Leggi anche Le cause culturali del femminicidio >>

 

La teoria dell’agenda setting

Perché ieri il femminicidio sembrava una priorità ed oggi non è più un problema tanto grave?

Una possibile risposta risiede nella teoria dell’Agenda Setting, fenomeno per il quale i cittadini percepiscono l’importanza di un tema o di un avvenimento in base all’ordine e alla frequenza con cui queste notizie vengono trasmesse dai canali d’informazione.

Due sono i processi che vengono influenzati: la selezione delle informazioni rilevanti e la gerarchizzazione delle stesse in ordine di importanza.

Quindi, nonostante il femminicidio non si fermi la sua scomparsa dai canali di informazione genera la sensazione che il fenomeno sia in declino o meno importante di altri.

 

La colpevolizzazione della vittima

Un secondo fenomeno che contribuisce a mitigare la sensazione negativa associata al femminicidio è la colpevolizzazione della vittima. Tale concetto è stato coniato dallo psicologo William Ryan (1971) in risposta ad un saggio sulle cause della povertà delle persone di colore.

Con questo termine Ryan descrisse un modo di pensare, una mentalità che ci porta ad accusare la vittima di un abuso o di un’ingiustizia ad una caratteristica/comportamento della persona stessa.

Le recenti accuse delle molestie nel settore dello spettacolo hanno scatenato questo tipo di mentalità: molte vittime sono state descritte come conniventi o comunque che sapevano a cosa andavano incontro e quindi non potevano lamentarsi.

Perché questo atteggiamento? Perché sobbarcare una vittima di una ulteriore responsabilità:se stai male è perché te la sei voluta. Il motivo risiede nella naturale predisposizione a calmarsi e a considerarsi padrone del proprio destino.

Il concetto è che se una vittima è tale per qualcosa che ha fatto, mi basterà evitare tali comportamenti per non incorrere nello stesso destino.

Non solo spostare la responsabilità sulla vittima, sulla donna, elimina il femminicidio come problema sociale a cui tutti dobbiamo prestare attenzione per limitarne la diffusione.

 

Femminicidio e misoginia

Un altro elemento da considerare è la misoginia, ovvero l’odio nei confronti delle donne, come causa del femminicidio. Il rimando stesso a questo concetto è un modo per allontanare da noi stessi e dalla quotidianità un fenomeno, nella realtà dei fatti, troppo frequente.

Non occorre essere misogino per arrivare all’omicidio, non è necessario avere una mentalità particolare, purtroppo alcuni aspetti della nostra cultura fanno si che molti uomini si sentano in diritti di pretendere dalla donna (amore, rispetto assoluto, obbedienza, ecc.) e di punirla qualora non ottengano ciò che desiderano.


Leggi anche Strumenti di autodifesa per le donne >>