Cos'è il Fast fashion (e perché non fa bene alla psiche né all'economia)

Capi a basso costo dichiaratamente ispirati ai prodotti di alta moda. Stili, disegni e colori delle passerelle riconvertiti in versioni low cost ad uso e consumo dell’utenza più variegata. Il Fast Fashion è questo e molto altro. Come cambia il rapporto con la nostra immagine?

Cos'è il Fast fashion (e perché non fa bene alla psiche né all'economia)

Il Fast Fashion, la moda low cost che rende gli stili dei grandi marchi accessibili a tutti, ha da diversi anni rivoluzionato il mondo della moda e degli acquisti offrendo capi di abbigliamento per tutte le tasche ma, al tempo stesso, alimentando una continua tensione al consumo.

Compriamo a meno ma più spesso e, a quanto pare, non siamo mai pienamente soddisfatti. La moda usa e getta ha pregi e difetti non solo sull’economia, ma anche sulla psiche.

 

Il Fast Fashion e la società dei consumi low cost

Secondo il Sole 24 Ore, per la prima volta in molti decenni, il Fast Fashion starebbe registrando una significativa crisi dei consumi. H&M, una delle catene più note e influenti della moda low cost, avrebbe registrato un diminuzione di fatturato che sembra stia destando non poche preoccupazioni. Che sia arrivato il momento di invertire la tendenza e tornare alla rivalutazione del tradizionale rapporto qualità/prezzo?

È forse prematuro dirlo, in fondo quello della moda “fast”, degli abiti di tendenza a costi stracciati e degli outfit mordi e fuggi è una tendenza che si inserisce nel ben più vasto mondo degli acquisti “smart” e scontati. Mondo che non si limita all’abbigliamento, ma che investe ormai quasi ogni settore della vita: dai voli aerei, alle catene di supermercati, a interi settori dell’editoria a siti di e-commerce fin anche alle cure dentali.

Di ogni bene o servizio sembra esista attualmente un’offerta low cost che, nel rendere accessibile ai più ciò che una volta contrassegnava importanti differenze di status socioeconomico, ha contemporaneamente alimentato i nostri livelli di aspirazione al consumo. Fare acquisti è diventato un fine in sé stesso, gli oggetti o i capi ottenuti a basso costo sono destinati a una durata breve se non brevissima e non solo per la qualità materiale che spesso li contraddistingue. Ma perché il benessere che deriva dal loro possesso è effimero anch’esso e destinato a esser rimpiazzato da nuovi desideri appositamente creati dalle pubblicità e dalle campagne di marketing.

 

Leggi anche Economia dell'attenzione >>

 

Le strategie di seduzione del Fast Fashion di H&M

Non stupisce dunque che uno dei capisaldi nel Fast Fashion come H&M – marchio che ai suoi esordi in Italia vantava collaborazioni con personaggi di spicco come Madonna – abbia da sempre cavalcato l’onda della notorietà creando un sapiente mix di:

  • prezzi bassi e accessibili
  • outfit ispirati ai grandi marchi che tutto danno fuorché l’idea di accontentarsi di “poco” (che la fidanzata di James Middelton abbia indossato un abito H&M ad un matrimonio reale la dice lunga su questo punto).
  • una sapiente, e discutibile, strategia di vendita entro gli store: i capi vengono spostati di continuo per stimolare continuamente a fare nuovi acquisti, nei camerini un sapiente gioco di luci e di specchi sembra appositamente progettato per restituire alla cliente un’immagine più snella di quella reale.
  • Al tempo stesso, in evidente contraddizione col punto precedente, proprio H&M non ha perso occasione per cavalcare l’onda del “curvy” – divenuta una strategia di marketing “politically correct” e per questo vincente – inserendo nel proprio catalogo costumi 2019 modelle dalle fattezze più affini a quelle delle donne reali.

Per non parlare dei capi realizzati in fibre ecologiche, della possibilità di riciclare i vestiti dismessi (i prodotti del Fast Fashion, fra l’altro, sono soggetti a un turn over piuttosto rapido), altra strategia di marketing al passo coi tempi, sebbene molti dubbi permangano sulla reale sostenibilità economica, ambientale ed etica delle strategie di produzione di queste catene low cost.

 

Fast Fashion: agire sena pensare

Una sapiente miscela, dunque, di stile all’avanguardia, marketing mix (si punta sul prezzo basso piuttosto che sulla qualità) e strategie seduttive ben congegnate che rendono l’accesso a queste catene di Fast Fashion un’esperienza complessa dai risvolti non scontati.

La sensazione che se ne ricava è generalmente quella di accedere ad un mondo dove “tutto è possibile” e a portata di mano.

E non solo perché i capi proposti consentono di acquistare modelli di tendenza a basso costo, ma anche perché il turn over elevatissimo che i prodotti subiscono in negozio porta il potenziale consumatore a effettuare e reiterare gli acquisti in modi rapidi, irriflessivi, riducendo al minimo il tempo e le energie mentali spese per il processo decisionale.

Se i soldi da investire sono trascurabili, se quel capo che stiamo osservando domani potrebbe non essere più in negozio, se fra pochi giorni potrebbero arrivarne sempre di nuovi… ecco che la stessa modalità di acquisto diviene “mordi e fuggi”. Non sono solo le risorse economiche, ma anche quelle cognitive ad essere ridotte al minimo in questo genere di shopping. Si compra essenzialmente con “la pancia” attirati emozionalmente e inconsapevolmente dalla linea che richiama quella degli outfit delle celebrities, dall’immagine del camerino che ci fa sembrare più magre, dalla super offerta disponibile ancora per pochi giorni…

Tutto ci spinge ad agire, rapidamente, senza pensare come fossimo davanti a un buffet della moda dove ci si affanna a riempirsi il piatto in attesa di nuove portate…

 

Fast Fashion: insoddisfazione e assenza di limiti

Uno dei meccanismi più contraddittori del Fast Fashion è proprio questo: nutrire, attraverso un’estrema precarietà e labilità temporale dei propri prodotti, una paradossale sensazione di illimitatezza, di assenza di confini…  

Possiamo comprare ciò che desideriamo e, con questo, illuderci di essere/diventare ciò che vogliamo, senza assumercene oltretanto la responsabilità dato che domani, per pochi euro, potremo sempre decidere di cambiare stile e di voltare pagina…

Questa epidemica e massiva assenza di limite rischia, paradossalmente, di alimentare un senso di insoddisfazione crescente. Se si invertono i mezzi con i fini, il prodotto o il capo acquistato rapidamente perderà il suo appeal molto presto (forse già una volta tornati a casa ed essersi specchiati realmente e non sotto le luci distorte del camerino). Quando acquistiamo un nuovo abito low cost proviamo una soddisfazione temporanea ma in poco tempo ci abituiamo a ciò che abbiamo e desideriamo avere altro: inseguiamo un’effimera sensazione di benessere dipendente (in realtà) non dall’oggetto, ma dal processo di consumo in sé stesso.

Che presto o tardi si inizi ad andare veramente in controtendenza rispetto ai dettami del marketing e della moda?

“La moda riflette i tempi in cui si vive, anche se, quando i tempi sono banali, preferiamo dimenticarlo”. (Coco Chanel)

 

Leggi anche Abbigliamento e atteggiamento, quale relazione? >>

 

Foto: Tatiana Badaeva / 123rf.com