Corpo ideale e corpo reale: Counseling Espressivo e disturbi del comportamento alimentare

Per chi soffre di un disturbo del comportamento alimentare, il corpo è un "contenitore irreale" dentro cui convogliare tutto ciò che spaventa: ansie, timori, fallimenti, delusioni...
Proporre dei percorsi corporei e creare dunque esperienze che riportino la persona ad un atteggiamento di ascolto nei confronti della propria corporeità può rivelarsi uno strumento efficace

Corpo ideale e corpo reale: Counseling Espressivo e disturbi del comportamento alimentare

Le patologie alimentari, con la loro ossessione per il corpo, sono l’estrema espressione di un’epoca che ha fatto della corporeità il palcoscenico dove rappresentare e dar voce alle paure e alle angosce umane odierne. Fin da quando iniziai a lavorare nell’ambito dei disturbi del comportamento alimentare fu questo a colpirmi, la relazione che anoressiche, bulimiche e bed intrattengono con il proprio corpo. Questo è un aspetto centrale nella patologia alimentare, è l’ossessione primaria che sembra guidare ogni pensiero, ogni azione, ogni emozione. Il corpo diviene il “luogo” in cui convogliare la grande ansia da prestazione, il bisogno di primeggiare, la necessità di controllare tutto nei minimi dettagli. Ma in questo rapporto ossessivo si nasconde un profondo paradosso. Nonostante la persona malata pensi incessantemente soltanto al proprio corpo, esso in realtà è un corpo che non esiste, perché appartiene alla sfera dell’ideale. Accade che il corpo reale viene sconfessato in nome di un corpo immaginario che risponde a canoni di efficienza, bellezza e realizzazione.

 

Ogni funzione corporea va dunque strettamente regolamentata in nome di quell’ideale a cui si aspira. Ed il cogito in questo assume un ruolo preponderante, la mente diviene la regista diabolica di un copione folle e mortale che rispetta alla lettera il dualismo cartesiano: la res cogitans governa la res extensa. Ecco dunque che tutti i bisogni corporei primari come il nutrimento, il riposo, la relazione restano inascoltati, insoddisfatti, per essere impietosamente soffocati in funzione di un’idea imperante e assoluta che ha le fattezze della perfezione. Il corpo viene così deprivato della propria saggezza ancestrale e quella che, come dice Umberto Galimberti, era la sua funzione di apertura originaria verso il mondo viene negata.

 

Il nutrimento ha linguaggi profondi e simbolici ed è intimamente legato al rapporto che ognuno di noi esseri umani detiene con il mondo. Come suggerisce Robert Nozick in The Examined Life (trad. it., La vita pensata. Meditazioni filosofiche), mangiare equivale a introiettare dentro se stessi una parte di mondo, “mettiamo dentro di noi pezzi della realtà esterna; ingoiandoli li mandiamo ancora più dentro, dove vengono incorporati nella nostra materia, nella nostra carne e nel nostro sangue. È straordinario come noi trasformiamo alcune parti della realtà esterna nella nostra stessa sostanza. Quando mangiamo la distanza tra noi e il mondo si riduce al minimo. Il mondo entra in noi; diventa noi”.

 

Riuscire a ricostruire l’immagine di se stessi, arrivare ad accettare con consapevolezza il proprio corpo, imparare ad ascoltarlo e a nutrirlo significa apportare dei cambiamenti nella relazione con la realtà esterna e con le altre persone accettando anche che il mondo, fatto di nutrimento e di relazioni, possa entrare ed uscire dalla propria vita in un rapporto di dentro e fuori, vuoto e pieno. Per persone malate di una qualsivoglia patologia alimentare è fondamentale costruire una relazione nuova con il proprio corpo, che non sia disfunzionale né dispercettiva.

 

Il Counseling Espressivo può essere la chiave giusta. Proporre percorsi di Counseling Espressivo a chi soffre di patologie alimentari significa offrire esperienze corporee concrete che eludono la sfera mentale e restano poi nella memoria del corpo. Per queste persone è fondamentale sperimentare linguaggi espressivi differenti, inusuali, non verbali, che le incoraggino ad ascoltare e accogliere i messaggi che il corpo manda. L'importanza di un tale intervento dunque non è quello di offrire letture o interpretazioni, ma il semplice fare esperienza di sè, ascoltarsi, udire la voce del corpo, uscire dalla sfera del controllo e accettare i propri bisogni, a partire da quelli primari, che permettono il proprio sostentamento, per arrivare al bisogno di relazionarsi con il mondo e con gli altri.

 

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