Depersonalizzazione: cause e come si manifesta

La depersonalizzazione è un sintomo dissociativo con il quale la mente si difende da situazioni traumatiche o stressanti. La depersonalizzazione non va tuttavia confusa con altri fenomeni simili solo in apparenza

Depersonalizzazione: cause e come si manifesta

“Ci siamo. La cosa grigia è apparsa sullo specchio. Mi avvicino e la guardo, non posso più andarmene.
È il riflesso del mio volto. Spesso in queste giornate perdute, rimango a contemplarlo. Non ci capisco nulla di questo volto. Quelli degli altri hanno un senso. Ma non il mio. Non posso nemmeno decidere se sia bello o brutto. (…) Evidentemente v’è un naso, due occhi, una bocca, ma tutto ciò non ha senso, nemmeno espressione umana. (…) Gli occhi, soprattutto, così da vicino, sono orribili. Son vitrei, molli, ciechi, orlati di rosso, sembrano scaglie di pesce. M’appoggio con tutto il peso sulla sponda di maiolica, avvicino il viso allo specchio fino a toccarlo. Gli occhi, il naso e la bocca spariscono: non resta più nulla di umano. Delle rughe scure ai lati del rigonfiamento febbrile delle labbra, fessure di tane di talpe. Una serica peluria bianca corre sui grandi pendii delle guance, due peli escono dalle narici: è una carta geologica in rilievo. E, nonostante tutto, questo mondo lunare m’è familiare. Non posso dire di riconoscere i particolari. Ma l’insieme mi fa un’impressione di già visto che m’intorbidisce …”
(J. Sartre, La Nausea, 1938, trad. It. Einaudi,  pp. 29-31)

Questo celebre brano di Sartre descrive magistralmente l’esperienza delle depersonalizzazione, ovvero quegli episodi in cui una persona può sentirsi estranea a sé stessa al punto tale da non riconoscersi nel proprio corpo o nei propri pensieri, si percepisce agire meccanicamente, in maniera quasi robotica o può avere la sensazione di osservarsi dall’esterno, in qualità di spettatore della scena che sta accadendo, come se si trattasse di un sogno.

In ogni caso la sensazione che si ha è che “quello non sono io”, “non è a me che sta accadendo”.

 

La depersonalizzazione: cause e come si manifesta

Il fenomeno della depersonalizzazione è una delle modalità con le quali la mente, mediante il meccanismo di difesa della dissociazione, si difende da situazioni stressanti o traumatiche dissociandosi dal proprio senso di sé.

La dissociazione non necessariamente identifica un grave disturbo mentale, può entrare in gioco a qualunque età e rappresentare una reazione in qualche modo normale e adattiva ad un evento traumatico intollerabile.

È il caso ad esempio di gravi catastrofi ambientali di fronte alle quali la mente umana, se percepisce una grave minaccia alla propria sopravvivenza fisica e psichica, può dissociarsi dagli eventi in corso disidentificandosi da quanto sta avvenendo.

La depersonalizzazione, come altre difese dissociative, può entrare in gioco anche quando si subiscono traumi e abusi fisici, specie se ripetuti; quando questo assetto si instaura in giovane età, oltre a danneggiare gravemente l’identità e il senso di sicurezza psicologica della persona, può far sì che, tale persona, finisca con l’utilizzare difese dissociative, come la depersonalizzazione, in maniera ricorrente come modalità automatica di reagire a qualunque evento stressante. Si parla allora di disturbo da depersonalizzazione/derealizzazione.

 

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Depersonalizzazione e depressione

In altri casi il ricorso alla depersonalizzazione o alla derealizzazione (un senso di estraneità rispetto agli oggetti e alle persone del mondo circostante) è una difesa dalla depressione, una modalità automatica con cui la mente si allontana dalle proprie emozioni anestetizzandosi in un senso di irrealtà e di estraneità.

Possono esserci persone più predisposte di altre a reagire mettendo in atto difese dissociative e che, in occorrenza di eventi come quelli citati, potranno con più probabilità di altre fare esperienza di episodi di depersonalizzazione.

Questi episodi possono risultare spaventosi per chi li vive che può, a posteriori, vergognarsene e serbare dubbi sulla propria sanità mentale.

Sebbene non vadano confusi con dei sintomi psicotici, per una persona che li sperimenta può essere estremamente difficile trovare parole per raccontarli; in tal senso l’opera di Sartre – che soffriva lui steso di episodi di depersonalizzazione e derealizzazione – rappresenta un capolavoro di eccezionale talento.

 

Depersonalizzazione, alessitimia e oggettivazione

La depersonalizzazione non va confusa con una più generica difficoltà a riconoscere ed esprimere emozioni, quella che in psicologia viene definita alessitimia; si può essere confusi riguardo ai propri vissuti, in alcuni casi somatizzarli o espellerli mediante comportamenti compulsivi senza che, tuttavia, questo minacci il proprio senso di sé, la possibilità di riconoscersi nel proprio corpo, nei propri pensieri e di percepirsi soggetto delle proprie azioni e delle esperienze che si stanno vivendo, per quanto esse possano risultare affettivamente  scarne.

La depersonalizzazione non va neanche confusa con ciò che, nel senso comune, definiamo cinismo ma che più propriamente potremmo chiamare oggettivazione e deumanizzazione della vittima: tale meccanismo psicologico è presente in chi compie ad esempio atti violenti o aggressivi contro un esponente di una minoranza (si pensi al bullismo giovanile o alle aggressioni omofobe o a sfondo etnico).

In tali casi, specie se si è in gruppo, questo fenomeno consente di giustificare agli occhi dell’aggressore le proprie azioni: disconoscendo la vittima come essere con caratteristiche umani e sentimenti, lo si riduce ad oggetto; così, è all’atro che non si riconoscono caratteristiche umane, non a sé stessi.

Gli episodi di depersonalizzazione possono essere brevi ma ricorrenti oppure di più lunga durata. Se definiscono una modalità costante di affrontare gli eventi possono configurare quello che viene definito un disturbo da depersonalizzazione/derealizzazione (spesso si fa esperienza di entrambi i fenomeni) oppure esprimente una grave depressione latente o altri disagi psicologici presentandosi ad esempio durante o dopo un attacco di panico.

Può essere d’aiuto intraprendere un percorso psicoterapeutico a volte in parallelo ad un sostegno di tipo farmacologico.

 

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