Pausa di riflessione: serve o non serve?

“Ho bisogno di stare un po’ da solo/a”. Avete mai pronunciato questa battuta? L’avete subita? Inizia così la pausa di riflessione. Un momento di confusione emotiva che può essere una fase di crescita per la coppia, ma che per la maggior parte delle volte è preludio della fine di una storia

Pausa di riflessione: serve o non serve?

Le dinamiche affettive sono complesse e prendersi una pausa di riflessione per meditare su se stessi e sul significato dell’esperienza che si sta vivendo può essere importante per una coppia. L’amore non è mai uguale, muta, evolve, e anche noi cambiamo nel corso della nostra storia con l’altro. Cercare di superare una crisi insieme, ossia trovare delle soluzioni con l’altro, dovrebbe essere il primo passo quando ci si accorge che qualcosa non va nella nostra relazione.

 

Il problema della pausa di riflessione è quando, con un gesto estremo, allontaniamo o siamo allontanati dall’altro, quando imponiamo una divisione alla comunicazione. Ci separiamo forzatamente nella speranza di scoprire quanto del nostro essere autentico era ancora nella storia che stavamo vivendo. La tragicità dell’evento sta nella sensazione di smarrimento, data dall’indefinitezza temporale di quello stare “un po’” da solo/a, di quel è meglio che non ci vediamo e sentiamo per “un po’”. Allora il problema è: come utilizziamo questo tempo di pausa di riflessione? Ci ritiriamo su un monte a fare considerazioni in completa solitudine o ci sperimentiamo uscendo tutte le sere per verificare l’effetto sul nostro benessere?

 

Il termine pausa ha diverse sfaccettature, a volte è simile al “time out” sportivo, quando la partita si ferma per tutti e le squadre si riuniscono per ridefinire le loro strategie in base ai loro punti di debolezza e forza; altre volte assomiglia di più al tasto “pause” di un videoregistratore che congela lo svolgersi della trama di un film permettendo, a chi l’ha schiacciato, di fare altre cose poco rilevanti e poco utili ai fini di una comprensione di sé e ad una presa di coscienza. L’idea che allontanandosi sia possibile capire ciò che si prova verso una persona percependo o meno la sua mancanza è un pensiero pericoloso. Per esempio, se una coppia vive in simbiosi, può essere anche naturale che in un periodo di distacco uno dei due si senta alleggerito e riscopra una piacevole autonomia, non per questo vuol dire che ami di meno il suo partner.

 

Pausa di riflessione o paura di riflessione?

Il vero cambiamento viene prodotto attivamente e volontariamente dal proprio io, non dalle influenze esterne o aspettando una illuminazione risolutiva dall’alto. Questo vale anche per chi subisce la decisione di una pausa di riflessione, colui/colei che l’accetta per paura di perdere il partner, colui/colei che preferisce la dipendenza all’abbandono, rischiando di alimentare un gioco pericoloso e perverso che può continuare all’infinito. Molte volte la pausa di riflessione esprime il timore di restare da soli, quante volte sentiamo dire: “No, no, non ci siamo lasciati, è solo uno stop”. È chiaro che questo autoinganno disfunzionale riduce le possibilità che la crisi di coppia evolva in positivo anzi, prepara la strada alla rottura, passando però attraverso l’illusione di un ripensamento.

 

Altre volte la pausa di riflessione si chiede per l’improvvisa entrata in scena di una terza persona di cui lui/lei può infatuarsi. Si rimane allora in bilico tra due parti senza a volte, per lungo tempo, assumersi la responsabilità dei propri sentimenti. Ovviamente ogni relazione è un caso a sé. Importante è non avere paura di guardarsi dentro, ascoltarsi e chiedersi “perché” abbiamo bisogno di una pausa. Riconoscere e ammetere a se stessi la motivazione reale e riflettere se renda valido o meno questo distacco. C’è un problema con il partner che voglio risolvere? O un problema che non ho il coraggio di risolvere? Durante la pausa di riflessione si è pur sempre una coppia ed essere onesti con se stessi, vuol dire esserlo anche con l’altro.

 

Fonte immagine: misteraitch