Violenza domestica: come uscirne?

La violenza domestica è una delle forme di violenza psicologica e di genere più diffuse e che molto spesso degenera anche in violenza di tipo fisico. Oggi la questione del femminicidio e della violenza sulle donne è all’ordine del giorno, ma non è del sensazionalismo mediatico che abbiamo bisogno

Violenza domestica: come uscirne?

Violenza domestica: come uscirne? È la domanda che le stesse donne vittime di violenza da parte di mariti o ex compagni si pongono ed è la domanda che gli operatori stessi, che ricevono le richieste di aiuto di queste donne o, raramente, dei loro compagni, si pongono.

Già perché, quando è di violenza psicologica che si parla, le cose sono un po’ più complesse delle storie a lieto/drammatico fine patinate e confezionate per essere raccontate in tv in prima serata.

 

La violenza domestica

Se pensiamo alla violenza domestica, al femminicidio, alla violenza di genere ci vengono alla mente subito immagini di donne che portano addosso i segni fisici, tangibili delle violenze subite, ci vengono alla mente le notizie di cronaca in cui ci imbattiamo ormai quasi quotidianamente, ci vengono in mente insomma tutte quelle immagini “forti”, sensazionalistiche che testimoniano i più drammatici degli epiloghi che storie di violenza domestica possono purtroppo avere.

Perché, in fondo, è questo che siamo abituati a vedere, è questo che siamo abituati a seguire con appassionata indignazione nei salotti televisivi, è ancora una volta questo che “fa notizia” sulle pagine dei giornali.

Non che tutto questo non esista, esiste e come ma, come dire, sembra quasi che la violenza domestica possa assurgere a legittimità di cronaca e di fatto culturalmente “chiacchierato” solo quando se ne possano cogliere i segni fisici, solo e soprattutto quando degenera purtroppo e drammaticamente in una violenza di tipo fisico.

È veramente d’aiuto tutto questo? “Qualunque cosa purché se ne parli”? Forse sì e forse no. Assuefatti a tutte queste immagini riceviamo l'impressione fuorviante che ci siano donne che debbano difendersi fisicamente da uomini violenti o che debbano essere aiutate a farlo.

Ci dimentichiamo che dietro c’è, e c’è sempre, una violenza psicologica che rende la questione molto più complessa e difficile.

 

Violenza sulle donne: cosa ancora c'è da fare

 

Relazioni violente

Chi ha avuto occasione di occuparsi di violenza domestica o, meglio, di violenza di genere o ha avuto a che fare con donne invischiate in tali situazioni o con operatori che hanno lavorato con loro sa che aiutare una donna vittima di violenza da parte del proprio compagno è una fra le cose più complesse e difficili almeno quanto aiutare un uomo violento ad intraprendere una strada per il cambiamento.

Non si tratta di difendersi da un aggressione fisica - anzi, verrebbe da dire, quando si arriva a quello è in un certo senso già molto, troppo, tardi – ma di trovare le risorse per uscire da quella che è una relazione patologicamente fondata sulla violenza psicologica e spesso sulla dipendenza affettiva.

Una relazione appunto, quindi un sistema creato e mantenuto da due persone che insieme, facendo ognuno la sua parte, contribuiscono a mantenere e ad alimentare un equilibrio patologico fondato sulla violenza: chi la violenza la agisce e chi la subisce, entrambi sono in un vicolo cieco, entrambi non sentono di avere altra scelta.

 

Né con te né senza di te. Come uscirne?

Quindi la violenza domestica - a prescindere che esiti in aggressioni fisiche “sensazionalistiche” o che si trascini “silenziosamente” per anni, magari per una vita intera senza che nessuno mai se ne interessi -  è sempre legata ad una violenza psicologica che lega a doppio filo entrambi i coniugi là dove lo stare insieme sia fondato sull’illusione del possesso dell’atro/da parte dell’altro che non ammette distanze né confini perché precari e incerti sono i confini della propria stessa identità e sicurezza psicologica.

“Chi sono io senza di te?” Questa la domanda che, in una relazione violenta, entrambi i coniugi non sembra possano porsi e che impedisce loro di interrompere la spirale di violenza.

Per questo esistono centri antiviolenza che si occupano di donne vittime e, in alcuni illuminati casi, di uomini autori di violenza: si tratta di intraprendere un percorso di cambiamento riguardo la propria personalità e la propria sicurezza psicologica, non di mettersi banalmente in salvo da un’aggressione fisica di una volta; chi intraprende e rimane in relazioni fondate sulla violenza – che la subisca o la agisca – non lo fa per caso, né per sfortuna, né per mancanza di buona volontà.

 

La violenza psicologica che consideriamo “normale”

Invece di usare gli epiloghi più drammatici di queste storie per fare notizia e fare audience sarebbe più opportuno, rispettoso e dignitoso finanziare e sostenere i centri antiviolenza che in ogni parte di Italia ricevono sempre meno fondi e sostenere un’educazione al rispetto della diversità di genere fin dalle scuole primarie, invece di paralizzare ogni iniziativa dietro la fobia della così detta “teoria gender”.

Come genitori si dovrebbe temere piuttosto che il proprio figlio un domani si senta libero di appellare volgarmente una ragazza per strada giustificandosi per l’abbigliamento succinto di lei, o che la propria figlia adolescente un giorno smetta di frequentare le proprie amiche e di indossare i vestiti che le piacciono per assecondare un fidanzato.

Questi non sono esempi banali solo perché li vediamo quotidianamente, e la maggior parte delle persone li reputa “normali” “accettabili” o “passeggeri”; questa è già violenza: è violenza psicologica e se allarmasse almeno quanto le cronache dei giornali forse ci sarebbero molti meno “spettacoli” da esibire nei salotti televisivi…

 

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