Psicologia del pregiudizio: siamo “buoni” o “cattivi”?

Stereotipi, pregiudizi e falsi miti intessono la cultura popolare e il senso comune fino a creare false informazioni che si perpetuano mediaticamente con irriducibile tenacia anche a dispetto di evidenti smentite. Il pregiudizio è ciò che ci impedisce di scoprire qualcosa di nuovo in quello che non conosciamo, che si spinge a rimanere entro i confini rassicuranti delle nostre convinzioni pur di proteggere noi stessi. Secondo la psicologia si tratta di un fenomeno comunque complesso e multideterminato frutto di fattori intraindividuali, interpersonali e sociali.

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Negli anni ’50 si diceva che “i comunisti mangiano i bambini”. Oggi questo ci fa sorridere, eppure da allora le cose non sono poi così diverse: le credenze e i falsi miti che permeano la nostra cultura potranno sembrarci più sofisticate e all’avanguardia, ma siamo sempre facili a cadere nel pregiudizio.

La psicologia sociale definisce il pregiudizio come un atteggiamento valutativo e rigido verso un oggetto, persona o fenomeno concepiti secondo dimensioni fortemente stereotipate e difficili a modificarsi anche a dispetto di eventuali smentite. In tal senso il pregiudizio, sia negli individui che nei gruppi sociali, risponderebbe al bisogno ego-difensivo di proteggere sé stessi, la propria identità e le proprie rassicuranti certezze nei confronti del nuovo, del diverso e di tutto ciò che è percepito come una potenziale minaccia per il proprio senso di sicurezza e di identità.

 

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I pregiudizi sociali più diffusi

Fra i pregiudizi sociali più diffusi vi sono quelli relativi alle minoranze - razziali, sessuali, religiose o altro; alle differenze fra uomo e donna; alle categorie professionali o a certe fazioni o schieramenti politici.

Basti pensare alle tormentate, quanto paradossali, vicende che impediscono un sereno riconoscimento dei diritti delle persone omosessuali; alle modalità spesso riduttive con cui vengono fornite notizie di cronaca riguardanti persone immigrate; alla sessualizzazione obbligata con cui viene proposto dai media il ruolo femminile o alle semplificazioni banalizzanti che gravano su certe categorie professionali.

 

Le funzioni del pregiudizio

Le funzioni del pregiudizio sono molteplici: individuare un “capro espiatorio” su cui sfogare rabbia e aggressività legate ad un periodo di frustrazione o crisi economica, razionalizzare comportamenti socialmente disapprovabili o valorizzare sé stessi e il proprio gruppo di appartenenza svalutando chi è “fuori” e quindi “diverso”.

Il pregiudizio, dunque, muove non solo da insicurezze e debolezze individuali, ma anche da dinamiche sociali più ampie, dai gruppi e contesti di appartenenza portatori di stereotipi culturali che facilmente e inconsapevolmente vengono interiorizzati a livello individuale.

 

Ruoli sociali e stereotipi in psicologia

Gli stessi ruoli sociali che ognuno di noi è chiamato a ricoprire nel corso della vita e dei vari contesti in cui opera possono ridursi a schemi di comportamento attesi, a modi di essere stereotipali che alimentano pregiudizi sociali su determinate categorie di persone fino a rappresentare gruppi e non più singoli individui.

Si tratta di scorciatoie cognitive che utilizziamo per assegnare un significato alla realtà; i pregiudizi si nutrono di stereotipi che fingono da veri e propri punti di ancoraggio per interpretare motivazioni, significati e intenzioni delle persone, in altre parole, per anticipare cosa ragionevolmente possiamo aspettarci da loro minimizzando i margini di incertezza sull’imprevedibilità dei comportamenti altrui.

Pensare di vivere in una società di dentisti sadici, donne pericolose al volante, psicologi che leggono nel pensiero o immigrati che rubano il lavoro basterebbe a garantirci di essere dalla parte dei “buoni”? Lo scenario che ne consegue sarebbe così desolante che vien da chiedersi se ne valga la pena…

 

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