Facilitatore

Il facilitatore è una figura neutrale che lavora per agevolare la collaborazione all’interno di un gruppo di lavoro o tra enti diversi, soprattutto quando si verificano momenti di impasse o cambiamento.

Il facilitatore è un esperto delle dinamiche sociali e relazionali, in ambito famigliare, lavorativo e sociale. È un libero professionista che interviene qualora nelle organizzazioni ci siano momenti di impasse o cambiamento. Il suo compito è promuovere la cultura della partecipazione e portare il gruppo ad adottare soluzioni condivise.

Anche per quanto riguarda questa figura, l’Italia è sprovvista di una specifica regolamentazione. Non esistono pertanto né un percorso formativo definito né un ordine professionale riconosciuto, ma ci sono scuole sulla facilitazione che offrono corsi di vario livello (introduttivi e specialistici).

 

 

Come si diventa facilitatore?

 

Chi lavora come facilitatore in genere è o è stato insegnante, formatore o educatore. Oltre a una solida formazione di base, il facilitatore dovrebbe possedere delle competenze specifiche sulla professione – come ad esempio le diverse metodologie della teoria della facilitazione –, che possono arrivargli da un percorso formativo ad hoc. L’avvio alla professione può essere la frequenza di un corso biennale di facilitazione, che di solito si tiene con formula weekend per un monte ore complessivo di 200 ore.

Corsi di specializzazione e seminari sono organizzati anche dalle singole società private costituite da facilitatori professionisti. Come per tutte le
professioni, è raccomandabile un aggiornamento costante per tutta la durata della vita lavorativa tramite master e\o seminari, convegni e corsi
specialistici. Molto farà poi la pratica e l’esperienza.

 

Facilitatore: la professione in sintesi

 

Dove lavora: aziende pubbliche e private, società no profit, scuole, ospedali.

Quando interviene: il facilitatore è una figura neutrale che lavora per facilitare la collaborazione all’interno di gruppi di lavoro e\o tra enti diversi (caso tipico quello dei partenariati).

La teoria della facilitazione (detta anche group facilitation, all’inglese) si declina in diverse metodologie. Le principali sono:

  • GOPP (Goal Oriented Project Planning), che si basa su una chiara definizione degli obiettivi del progetto e fa parte dell’approccio integrato chiamato PCM (Project Cycle Management);
  • OST (Open Space Technology), adatto alle situazioni più complesse per cui non esiste una soluzione univoca;
  • EASW (European Awareness Scenario Workshop), metodo particolarmente efficace nelle comunità locali (es. cittadini residenti in uno stesso quartiere).


Cosa fa e cosa non fa il facilitatore:

  • incoraggia le persone alla riflessione attraverso l’ascolto, le azioni e le domande;
  • ha un approccio non direttivo ma empatico;
  • esorta a esprimere il punto di vista di ciascuno per arrivare a un confronto e quindi a una visione condivisa;
  • chiarisce dinamiche, bisogni, finalità, obiettivi e priorità del gruppo;
  • suggerisce come migliorare la comunicazione all’interno del gruppo;
  • aiuta i singoli individui a comprendere appieno le responsabilità del proprio ruolo affinché ciascuno offra il proprio contributo;
  • sollecita e gestisce la partecipazione di ciascuno alle attività del gruppo attraverso giochi, simulazioni, esercizi a coppie e in gruppo, storie.

 

Link utili

 

Appunti su competenze, tecniche e regole di base del facilitatore.
 
La scuola superiore di facilitazione e partecipazione integrata di Milano offre programmi di formazione integrata su un’ampia gamma di metodologie, strumenti, procedure e tecniche per la gestione di gruppi di lavoro.

Federico Bussi, facilitatore, racconta la sua professione.