Ecologia della comunicazione: intervista a Pino De Sario

Comunicando con gli altri sembra più facile fraintendersi che intendersi; gli scambi comunicativi lasciano emergere le negatività; ci si dimentica spesso del ruolo del corpo: come fare a migliorare? Pino De Sario, autore del testo "Ecologia della comunicazione", in questa intervista ci dà dei consigli pratici per cambiare il nostro approccio alla comunicazione interpersonale

Ecologia della comunicazione: intervista a Pino De Sario

È in libreria, edito da Xenia, Ecologia della comunicazione, testo di Pino De Sario sulle tecniche per dialogare con efficacia, evitare malintesi e trasformare le negatività. L'autore suggerisce un nuovo approccio alla comunicazione interpersonale prendendo in esame tre punti chiave: i fraintendimenti, i disagi e il ruolo del corpo. Pino De Sario è psicologo sociale, consulente formatore e facilitatore. Insegna Comunicazione nella mediazione all'Università di Pisa ed è docente all'Università di Siena presso il Master in Counseling relazionale e alla Società Italiana di Biosistemica. È fondatore della Scuola facilitatori. Lo abbiamo intervistato per saperne di più sulla comuncazione ecologica e su come gestire al meglio il rapporto con gli altri.

 

La premessa da cui parte il suo libro è manca l’educazione ai rapporti, la capacità di gestire relazione ed emozioni: quali sono secondo lei le cause?

La più banale e sotto gli occhi di tutti è che “vestiamo” i panni di una società estetica, molto proiettata sulle forme. Ma forse altre due ragioni che alimentiamo in chiave soggettiva sono altrettanto decisive: la prima è che siamo geneticamente decentrati sull’esterno, l’ambiente che ci circonda, e quindi poco inclini alla riflessione e a vedere in sé anche i motivi dei fallimenti, che di solito scorgiamo benissimo nella faccia dell’altro. La seconda è che nei rapporti catapultiamo un senso di sopravvivenza primordiale, una sorta di leva automatica per cui ci difendiamo, ci giustifichiamo, non ammettiamo di noi quasi mai nulla. Ecco, l’educazione a sé e all’altro immette in questi funzionamenti un quid di cultura fondamentale, che vuol dire di aggiustamento ai difetti insiti, così da poterci autocriticare, non prenderci troppo sul serio, cercare di comprendere meglio l’altro, apprezzare e apprezzarci, tentare di evolvere, di tirare su le sorti di un’aggregazione, che sia familiare o produttiva.

 

Cos’è la comunicazione ecologica? Quali sono le origini di questo approccio?

Ecologico nelle scienze sociali significa unione e connessione di tre piani, il soggetto, la relazione con l’altro, l’ambiente circostante. L’autore di spicco è Urie Bronfenbrenner, che negli anni ’60 ha sviluppato questo approccio, ma come non ricordare Gregory Bateson e la sua ecologia della mente o Edgar Morin, insigne sociologo francese, con un mirabile approccio ecologico all’educazione planetaria. L’intuizione e i metodi della comunicazione ecologica li dobbiamo invece a Jerome Liss, mio grande insegnante e collega, psichiatra statunitense che vive a Roma. Jerome ha in più connesso i fattori negativi con quelli positivi, in fatto di comunicazione e comportamento. È sua la frase: “nel negativo c’è il germe del positivo”. Comunicazione ecologica, quindi, sta a significare quel metodo che considera come vitale sia la positività che la negatività e che connette individuo, l’altro e l’ambiente, come tre variabili che compongono simultaneamente ogni contesto e ogni tipo di problema (approccio sistemico).

 

La comunicazione interpersonale è un sistema complesso e lei immagina le relazioni di tutti i giorni come ingarbugliate dentro “fili reticolati”: cosa sono? Perché ha scelto proprio questa metafora?

Sono fili sottili, quasi invisibili, che demarcano sostanze e identità. Per esempio il filo che provoca distorsione tra il messaggio dell’emittente che giunge al destinatario spesso e volentieri distorto dentro malintesi più o meno rilevanti. Oppure il filo labile tra il nostro cervello logico e funzionale e quello illogico disfunzionale: non occorre essere stressati o malati per esagerare, sentirsi perseguitati, regredire, avere paura di tutti, cercare solo il proprio tornaconto, brutalizzare e deumanizzare gli scambi.

 

Lei cita Gregory Bateson a proposito della dinamica interpersonale intesa come “una differenza che crea altre differenze”: quando e come nascono barriere e malintesi? Come fare per riconoscerli?

Non tanto riconoscerli, bensì metterli nel conto e quindi operare verifiche e attenzioni suppletive per controllare che il messaggio inviato sia sufficientemente inteso come volevamo. Non essendo il malinteso un’occasione plateale ed occasionale, bensì insinuante e ripetuta, non è tanto importante riconoscerlo, bensì già di suo, metterlo nel conto. Perché fisiologico, non patologico. Di tutti, non dei più strani. Frequente, non saltuario.

 

Il suo libro offre spunti pratici per sanare le “ferite” della comunicazione interpersonale: ci dà un suggerimento per iniziare da subito a migliorare i nostri rapporti?

Primo, apprezzare di più chi ci sta di fronte. Secondo, ammettere qualche volta un proprio sbaglio o una debolezza. Terzo, fare domande di curiosità conoscitiva all’altro. Si sta molto bene!

 

In che modo la comunicazione ecologica può influenzare positivamente il nostro percorso di crescita personale?

La crescita personale è un percorso irto che ci espone a fatica e durezze, le prime sono quelle scolpite dentro di noi, che si ripetono con puntualità incessante, perché “imprintate” nel profondo. Ho imparato solo dopo tanto tempo che crescere è ammorbidirsi, allentare le presunzioni, mollare la presa decisa sulla vita come presa ansiosa e aggressiva. Sto lentamente comprendendo che la vita ha nel profondo e nella vulnerabilità i migliori tesori e le migliori zone di crescita e avanzamento. Quindi, si sa di sapere qualcosa di sé e del mondo proprio quando si intuisce che non si sa nulla. E qui la comunicazione ecologica aiuta per stare coi piedi più ancorati alla terra e cercare i ponti fervidi con gli altri. Non è poi sempre possibile: crescere vuol dire anche piangere, oltre che ridere.

 

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