Ciò che un venditore dovrebbe sapere: la motivazione all'acquisto

Gli acquisti si decidono razionalmente o su base emotiva? E quindi, le argomentazioni del venditore devono essere emotive o razionali? Questo articolo si propone di approfondire questa tematica, al di là delle semplificazioni e delle affermazioni di moda

Ciò che un venditore dovrebbe sapere: la motivazione all'acquisto

L’argomentazione di vendita

Perché le argomentazioni di vendita siano efficaci, non devono limitarsi ad un’esposizione volta a “convincere” l’intelletto razionale  del cliente, ma devono tener conto di come le persone arrivano a decidere di desiderare e di acquistare qualcosa. Riteniamo utile, a questo punto, domandarci: come nasce la motivazione all’acquisto? Le persone acquistano prodotti e servizi per realizzare i loro desideri. Ma la decisione di acquistare qualcosa nasce dall’emisfero destro o sinistro? E quindi, le argomentazioni di vendita più efficaci sono di tipo razionale o emotivo? È possibile portare innumerevoli esempi a favore di entrambe queste possibilità. Tutti ricordiamo occasioni di acquisto che sembrano essere scaturite solo dall’emotività: un vestito o un paio di scarpe che hanno attratto improvvisamente la nostra attenzione e che abbiamo improvvisamente desiderato.

  • Si potrebbe allora pensare che l’acquisto (o il desiderio di acquisto) su base emotiva riguardi solo oggetti futili, magari di lieve impatto economico, mentre per le cose importanti e costose subentri la razionalità.
  • Un’altra ipotesi potrebbe suggerirci che l’acquisto di un bene su base emotiva sia riservato alle persone ricche, per togliersi dei capricci, mentre chi ha i denari contati debba giocoforza comprare su una base razionale, volta ad ottimizzare la poca disponibilità a disposizione.

Ma se ci guardiamo attorno, ci accorgiamo che queste spiegazioni non reggono. Chi non conosce qualcuno che ha acquistato un’automobile costosa, di cui, razionalmente, non avrebbe avuto bisogno, ma di cui si era innamorato ? E l’acquirente non necessariamente era ricco. Ma l’acquisto su base “emotiva” riguarda beni anche molto più costosi, come ad esempio, il desiderio del “ragazzo della via Gluck”, di acquistare, a distanza di anni, la casa in cui era nato: Passano gli anni, ma otto son lunghi, però quel ragazzo ne ha fatta di strada, ma non si scorda la sua prima casa, ora coi soldi lui può comperarla torna e non trova gli amici che aveva, solo case su case, catrame e cemento.

Questo desiderio non nasce da basi razionali, infatti l’acquisto della casa della via Gluck non viene descritto come un “buon affare”, ma unicamente un desiderio stimolato dalla nostalgia del protagonista verso il mondo della sua infanzia, che non esiste più. Naturalmente la scarsità di denaro pone vincoli insuperabili all’acquisto di determinati beni, ma non garantisce il fatto che gli acquisti vengano fatti su base razionale, anzi. Però, in certe occasioni, i nostri acquisti sembrano seguire criteri strettamente razionali: andiamo dal ferramenta per comprare esattamente quell’utensile che ci serve, a volte scegliamo un auto sulla base dei chilometri annui che pensiamo di fare, o scegliamo una polizza calcolando esattamente la quota di deducibilità fiscale.

E allora cosa possiamo concludere? Forse che alcuni di noi scelgono su base razionale, e altri su base emotiva? In questa risposta c’è una parte di verosimiglianza, indubbiamente le persone possono essere personalmente inclini ad una modalità o ad un’altra. Si tratta però di una spiegazione molto parziale, perché non è difficile trovare controesempi: aspetti di forte razionalità negli acquisti di persone prevalentemente “emotive” e viceversa. Per arrivare ad una spiegazione più convincente occorre esaminare più in particolare il processo del desiderare.

 

Una “mappa” dei nostri desideri

Forse non sempre ne siamo consapevoli, eppure noi desideriamo in continuazione. Quando abbiamo fame e vogliamo mangiare, quando risolviamo un cruciverba, quando assistiamo ad una partita, quando facciamo la coda alle Poste, quando facciamo progetti… Anche in questo momento, in cui state leggendo questo articolo, state provando l’esperienza del desiderare. E se smetterete di leggere, non sarà perché avrete smesso di desiderare, ma perché i vostri desideri saranno cambiati. Siamo immersi nel desiderio, praticamente in ogni momento della nostra vita quotidiana. In un certo senso, i desideri hanno vita propria. Si affacciano alla mente, senza invito e senza annuncio, sorti apparentemente dal nulla. In molti casi, noi non scegliamo i nostri desideri, ma li scopriamo in noi.

Un esempio dello scarso controllo che abbiamo sui nostri desideri viene descritto da Alessandro Manzoni nei “Promessi Sposi”, a proposito della conversione dell’Innominato che viene innescata dalla conversazione con Lucia prigioniera: “…andò cercando col pensiero qualche cosa importante, qualcheduna di quelle che solevano occuparlo fortemente, onde applicarvelo tutto; ma non ne trovò nessuna. Tutto gli appariva cambiato: ciò che altre volte stimolava più fortemente i suoi desideri, ora non aveva più nulla di desiderabile: la passione, come un cavallo divenuto tutt’a un tratto restio per un’ombra, non voleva più andare avanti. Pensando ad imprese avviate e non finite, in vece di animarsi al compimento, in vece d’irritarsi agli ostacoli (che l’ira in quel momento gli sarebbe parsa soave), sentiva una tristezza, quasi uno spavento dei passi già fatti. Il tempo gli s’affacciò davanti voto d’ogni intento, d’ogni occupazione, d’ogni volere, pieno soltanto di memorie intollerabili: tutte l’ore somiglianti a quella che gli passava così lenta, così pesante sul capo. Si schierava nella fantasia tutti i suoi malandrini, e non trovava da comandare a nessuno di loro niente che gli importasse…”

Il prosieguo della storia racconta come l’Innominato supera questo momento di empasse quando i suoi desideri ricominciano a delinearsi, sebbene in una direzione nuova. “E se volle trovare un’occupazione per l’indomani, un’opera fattibile, dovette pensare che all’indomani poteva lasciare in libertà quella poverina. - La libererò, si; appena spunta il giorno, correrò da lei e le dirò: andate, andate. La farò accompagnare…” Del resto, spesso non abbiamo una chiara consapevolezza dei nostri desideri. “Immaginiamo i nostri desideri nello stesso modo in cui immaginiamo i desideri degli altri – osservando il nostro comportamento e traendo delle inferenze. E proprio come possiamo sbagliarci completamente sulle motivazioni altrui, possiamo sbagliarci sulle nostre”  (W. Irvine).

Possiamo suddividere i nostri desideri in desideri strumentali (che vogliamo esaudire non in quanto tali, ma per esaudire altri desideri) e in desideri terminali (che vogliamo esaudire in quanto tali). Si formano quindi vere e proprie “catene del desiderio” all’interno delle quali i desideri strumentali vengono soddisfatti per soddisfare i desideri terminali. Facciamo alcuni esempi:

  • posso desiderare di arrivare in fretta a casa (desiderio strumentale), di prepararmi un piatto di pasta (desiderio strumentale), perché ho fame e voglio mettere fine a questa sensazione (desiderio terminale). Se non avessi fame, non avrei nessun desiderio di arrivare in fretta a casa, né, tantomeno, di preparare un piatto di pasta.
  • se sono l’unica fonte di reddito nella mia famiglia, posso desiderare di sottoscrivere una polizza Temporanea Caso Morte (desiderio strumentale) in quanto da un po’ di tempo mi sveglio alla notte, e penso: “Se mi succede qualcosa, cosa succederà alla mia famiglia?”. Questi pensieri mi creano sensazioni spiacevoli, che voglio far cessare (desiderio terminale).
  • posso desiderare di concludere un buon affare (desiderio strumentale), perché questo mi permetterà di guadagnare molti soldi (desiderio strumentale), e possedere molti soldi genererà in me sensazioni di sicurezza (desiderio terminale).

I desideri terminali ci portano quindi verso una sensazione piacevole e/o via da una sensazione spiacevole, e per questo li desideriamo. Siamo quindi capaci di desiderare in quanto siamo capaci di provare sensazioni piacevoli e spiacevoli, ed è sulla base delle emozioni che proviamo che definiamo piacevole o spiacevole una determinata sensazione. Le catene del desiderio derivano da una collaborazione tra intelletto razionale ed emozioni. Le emozioni sono specializzate nel campo dei desideri terminali, mentre l’intelletto si occupa di formare i desideri strumentali, l’esaudimento dei quali porterà all’esaudimento del desiderio terminale. I desideri strumentali sono quindi quelli che identifichiamo razionalmente e vogliamo esaudire perché, a nostro parere, sono la strada da percorrere, lo strumento adatto per soddisfare i nostri desideri terminali.

Questa collaborazione tra intelletto ed emozioni non è paritetica: in alcuni casi, le emozioni esercitano una sorta di “diritto di veto”. Pensiamo ad un caso in cui ci piacerebbe fare un certo viaggio in aereo, perché sarebbe il mezzo più comodo e veloce, e razionalmente lo preferiremmo: se abbiamo paura di volare troveremo impossibile mettere in atto il nostro proposito. In altri casi, le emozioni possono, pur senza opporre un veto, non dare il loro sostegno, minando alla base l’esaudimento di un certo desiderio. Possiamo essere convinti dell’opportunità di fare una certa attività fisica con regolarità e desiderare di farlo, ma se le emozioni non cooperano sarà come non averci messo il cuore, e l’intelletto, da solo, è del tutto impotente a governare la nostra vita (W. Irvine).

Abbiamo detto che i desideri terminali ci portano verso una sensazione piacevole o ci allontanano da una sensazione spiacevole, ma i desideri strumentali, formati dall’intelletto per soddisfare un desiderio terminale, non è detto che comportino sensazioni piacevoli. Non è detto che sia piacevole alzarsi molto presto alla mattina, anche se questo ci porterà a conseguire un qualcosa per noi importante. “L'intelletto non può dare ordini alle emo­zioni, ma può incanalare le energie emotive esistenti al momento. Per esempio, se le emozioni vogliono X, l'intelletto potrebbe con­vincerle a voler fare Y facendo presente che farlo condurrà a X. Non appena le emozioni si sono convinte che fare Y condurrà a Y, l'ansia sentita relativamente a X si trasferirà su Y. L'intelletto allo­ra farà presente alle emozioni che fare Z condurrà a Y; nuova­mente, l'ansia si trasferirà. In questo modo, l'ansia scorre lungo le catene del desiderio formate dall'intelletto. Così, diventiamo motivati a esaudire i desideri strumentali di queste catene, anche se farlo non sarà piacevole in quanto tale - in effetti, anche se far­lo sarà spiacevole” (W. Irvine).

L’acquisto di un prodotto o di un servizio ha quindi la funzione di soddisfare un desiderio strumentale, che è un anello di una catena del desiderio volta a soddisfare un desiderio terminale. È per questo che è importante che le argomentazioni di vendita seguano un “doppio binario”:

  • da una parte il venditore, nel proporre ciò che vende come lo strumento adatto per raggiungere ciò che il cliente vuole, argomenta in modo razionale, perché è razionalmente che le catene del desiderio vengono costruite e i desideri strumentali vengono selezionati e scelti;
  • dall’altra parte il venditore fa leva sui desideri terminali dei suoi clienti, in cui non c’è niente di razionale. Vengono “scelti” su base emotiva, e sono fondamentali in quanto contengono l’energia emotiva che si “trasferisce” sugli strumenti più adatti per ottenere ciò che sta a cuore veramente, fornendo la motivazione all’acquisto.

(articolo completo su Coaching & Training Bologna)

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