Pro e contro della restrizione alimentare

La restrizione alimentare potrebbe avere effetti paradossali tutt’altro che favorevoli al mantenimento di un peso “ideale”. Il costante controllo sulla propria dieta allontanerebbe dalla corretta percezione dei reali stimoli di fame e sazietà favorendo, di contro, episodi di disinibizione alimentare. Quali quindi i pro e i contro?

Pro e contro della restrizione alimentare

La restrizione alimentare come stile di vita associato alla propria dieta comporta una costante preoccupazione per il controllo che si vuole esercitare sul proprio impulso a mangiare cercando, in tal modo, di tenere a bada il proprio peso corporeo entro parametri ritenuti ideali o desiderabili.

Gli effetti potrebbero essere però tutt’altro che quelli auspicati: oscillazioni di peso, vulnerabilità allo stress e incapacità di avvertire correttamente i segnali fisiologici di fame e sazietà sarebbero solo alcune delle possibili conseguenze.

 

Inibizione e controllo nella restrizione alimentare

Mai come nell’epoca moderna l’ "onnivoro" essere umano ha avuto a disposizione un tale quantitativo di cibi, così facili da reperire e, molto spesso, eccedenti il proprio fabbisogno calorico.

Tempi duri quindi per coloro che la letteratura specialistica identifica come “mangiatori restrittivi”, cioè coloro che esercitano continuamente un controllo sul proprio desiderio di mangiare cercando, non sempre riuscendoci, di mantenere un peso “ideale”.

Non stiamo parlando di persone che seguono una dieta, ma di persone che, pur non soffrendo di un disturbo alimentare, adottano uno stile alimentare e un approccio al cibo costantemente preoccupato improntato all’inibizione e al controllo.

 

Motivazioni e cause della restrizione alimentare

Mantenere un comportamento alimentare restrittivo e controllato può sottendere molteplici motivazioni relative a fattori di personalità, stress o depressione, bassa autostima, insoddisfazione per la propria immagine corporea o il desiderio di mantenere agli occhi degli altri una certa identità sociale specie se si è donne.

Queste alcune delle possibili determinanti della restrizione alimentare secondo una rassegna pubblicata nel 1010 ad opera di Melissa G. Bublitz e colleghi (Bublitz, M., et.al.,  Why did I eat that? Perspectives on food decision making and dietary restraint, Journal of Consumer Psychology, 20, 239-258). Ma quali i pro e i contro? La rassegna della Bublitz ne evidenzia alcuni …

 

Conseguenze a livello fisiologico

Un primo paradosso di una restrizione alimentare protratta nel tempo si verifica al livello fisiologico giacché il controllo e l’inibizione esercitati cronicamente riducono la sensibilità ai segnali interni di fame e sazietà per cui mangiare con regolarità diventa paradossalmente più difficile (Herman, C. P., & Polivy, J., A boundary model for the regulation of eating. In A. J. Stunkard, & E. Stellar, Eating and its disorders, Raven Press, 1984).

Oltre a ciò, non sembrano esserci evidenze a sostegno del fatto che una restrizione alimentare sia associata ad una diminuzione di peso corporeo ma, anzi, sembra che, paradossalmente, fra i mangiatori restrittivi vi siano coloro che tendono ad avere BMI - indice di massa corporea - più elevato (Snoek, H. M., et.al., Restrained eating and BMI: A longitudinal study among adolescents, Health Psychology, 2008, 27, 753−759).

In aggiunta a questo la così detta teoria del “set point” evidenzia come esista per ognuno di noi un range di peso fisiologicamente determinato che il corpo tenderebbe naturalmente a mantenere opponendosi ad una restrizione alimentare eccessiva (Corner, M. e Armitage, C.J., La psicologia a tavola, Il Mulino, 2008).

 

Conseguenze psicologiche e comportamentali

Queste conseguenze sul piano fisiologico si associano ad altre conseguenze sul piano psicologico e comportamentale.

La restrizione alimentare infatti può esaurire le capacità di controllo cognitivo della persona alimentando una condizione cronica di stress sia fisico che psicologico che sfocerebbe o in un’improvvisa disinibizione alimentare o in una disregolazione comportamentale in altre aree come il consumo di sigarette, l’abuso di caffeina o lo shopping compulsivo (Lowe, M. R.,The effects of dieting on eating behavior: A three-factor model, Psychological Bulletin, 1993, 114, 100−121; Polivy, J., The effects of behavioral inhibition: Integrating internal cues, cognition, behavior, and affect, Psychological Inquiry, 1998, 9, 181−204).

 

Disinibizione alimentare in condizioni di stress

In particolare, i mangiatori restrittivi risulterebbero spesso più vulnerabili allo stress e maggiormente inclini a reagire ad esso buttandosi sul cibo.

Sarebbe quindi la restrizione alimentare, a cui le persone obese spesso si sottopongono nel tentativo di controllare il proprio peso corporeo, e non l’obesità in sé a determinare un aumento del consumo alimentare in condizioni di stress (Baumcom, D.H. e Aiken, P.A., Effect of depressed mood on eating among obese and non obese dieting and nondieting persons, Journal of Personality and Social Psychology, 1981, 41, 577-585).

Un mangiatore restrittivo tende a mantenere il proprio peso corporeo al di sotto del suo valore di riferimento mediante meccanismi di autocontrollo e questo aumenterebbe la probabilità di perdere il controllo e reagire allo stress mangiando e maturando così un bilancio energetico positivo nonostante il precedente periodo restrittivo.

Questo meccanismo tenderebbe ad automantenersi e potrebbe paradossalmente concorrere alla permanenza nello stato di obesità.

 

Chi è che ha fame?

Mangiamo per necessità o per piacere? Senz’altro per entrambe le cose, ma la restrizione alimentare può allontanare da entrambi perché da un lato impedisce di decodificare i reali segnali di fame e sazietà che dovrebbero presiedere alla regolazione fisiologica della nostra alimentazione; dall’altro rende l’alimentazione un’esperienza insoddisfacente e frustrante e quindi potenzialmente stressogena che crea un circolo vizioso che rischia di rinforzare proprio quel desiderio di mangiare che vorremmo tanto reprimere.

Ascoltare i propri segnali interni sembrerebbe allora uno degli “ingredienti” necessari per mangiare senza – come dice lo scrittore Carlo Petrini, “farci mangiare” dal cibo.

 

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