Corteggiatore insistente, come liberarsene

L’amico che si presta a fare da finto fidanzato, il numero di telefono dato sbagliato per tagliar corto, un drink accettato perché sembra complicato declinare l’offerta… Perché a volte sembra così difficile liberarsi da un corteggiatore insistente?

Corteggiatore insistente, come liberarsene

 

Molte donne avranno forse avuto esperienza di un corteggiatore insistente difficile da allontanare. Situazioni apparentemente banali e ordinarie che tuttavia possono nascondere, alle volte, pregiudizi e stereotipi di genere che contribuiscono a far sì che il “no” di una donna venga espresso in termini ambigui, poco chiari e/o che non venga preso realmente sul serio. Vediamo perché.

 

Il “tipico” corteggiatore insistente

È sera, in un locale affollato sedute ad un tavolo ci sono quattro ragazze, un’uscita tra amiche come tante, non necessariamente finalizzata a ricercare la compagnia dell’altro sesso. Forse in effetti quelle ragazze non si stanno neanche guardano troppo intorno, sono impegnare a parlare tra loro, ridere, raccontarsi le loro vicende. A pochi tavoli di distanza un paio di ragazzi le osservano e uno di loro decide di farsi avanti, si avvicina, attacca a parlare, insiste per offrire un drink a una di loro.

Lei, nonostante non gradisca, abbozza sperando così di levarselo di torno, un’altra delle sue amiche prova a dire più chiaramente che non stanno cercando compagnia. Ma niente, la stessa dinamica si ripete più volte nell’arco della serata fino a quando la ragazza non finge di cedere e di dare al corteggiatore insistente il suo numero di telefono: si tratta di un falso, l’unica strategia trovata in extremis per prendere le distanze.

Episodi di questo tipo sono all’ordine del giorno verrebbe però da domandarsi come mai non sembri accettabile, normale, che ad una richiesta di approccio si possa ottenere anche un rifiuto, che una donna con alcune amiche in un bar non stia necessariamente cercando la compagnia di un uomo e come mai le donne stesse, a volte, sembrano stentare a far presente chiaramente che non la desiderano. 

 

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Il corteggiatore insistente e gli stereotipi di genere

Probabilmente, nella maggior parte dei casi, nessuno dei protagonisti di vicende come questa è in malafede né ha l’intento deliberato di nuocere o mancare di rispetto all’altro. Molto più spesso entrambe le parti sono, per lo più inconsapevolmente, vittime di pregiudizi e stereotipi di genere che rendono difficile, quando non impossibile, la comunicazione fra i sessi.

È stato da più parti osservato, infatti, quanto risieda nella cultura di stampo patriarcale cristiano l’idea che il “no” della donna non sia tanto l’espressione di una precisa volontà di autodeterminazione, quanto un cliché, una riposta socialmente obbligata nei confronti dell’approccio maschile. Guai infatti, secondo tale concezione, che una donna manifesti un chiaro desiderio, le signore “di una volta” vedevano fondarsi la propria rispettabilità proprio su questa sorta di reticenza ideologica che era obbligatorio mostrare in ogni caso:

“L’educazione religiosa alla ritrosia sessuale ha generato nelle donne una condizione di forte ipocrisia tra il dover dire e il voler fare, condannando alla clandestinità il loro desiderio e imponendo agli uomini una visione distorta del complesso mondo erotico femminile, che a lungo è stato ignorato” (Murgia, 2011, pp.76-77)

La concezione, dunque, che un uomo debba per definizione insistere nel corteggiare una donna, a dispetto dei suoi “no”, che una donna anche se desiderasse l’approccio non può dirlo a chiare lettere ma deve dire quel “no” proprio per sollecitare l’insistenza del suo corteggiatore è alla base di innumerevoli riduzionismi, equivoci e stereotipi di genere. Può sembrare un copione d’altri tempi, oggi le relazioni sessuali e sentimentali sembrerebbero molto più esplicite e paritarie e effettivamente molto spesso lo sono. Ma questi stereotipi, questi preconcetti continuano ad essere radicati se non nella consapevolezza esplicita, negli schemi inconsci che spesso guidano tutt’ora alcune dinamiche fra i sessi.

Ecco che ad una donna alle soglie del terzo millennio può ancora sembrare “scortese”, pericoloso o complicato dire un “no” per esprimere un preciso atto di volontà, meglio declinare l’invito senza ostentare troppa convinzione, sorridendo con gentilezza dopo aver scambiato due chiacchiere… Ne deriva spesso un messaggio ambiguo, soprattutto per un uomo che, senza rendersene magari del tutto conto, ha già messo in conto di dover insistere nonostante i “no” se, culturalmente parlando, si è stati abituati a pensare che un “no” detto da una donna può significare in realtà un “sì” (è dallo stesso retroterra culturale che derivano alcune giustificazioni dei sex offenders).

 

Dire chiaramente di no: una questione di sicurezza

Esiste poi un’altra ragione per la quale sarebbe fondamentale da parte di una donna porre un chiaro e non ambiguo rifiuto: in alcuni, minoritari sicuramente, casi quello che sembra un corteggiatore insistente potrebbe rivelarsi uno stalker o una persona comunque dalle intenzioni non benigne (che nulla hanno a che fare col corteggiamento come tale). Spesso ci si rende conto delle reali intenzioni del “finto” corteggiatore solo nel momento in cui gli si deve opprre un netto rifiuto: bene allora farlo subito, chiaramente e finché ci si trova in un posto affollato con altre persone potenzialmente testimoni della scena. È dunque anche un fatto di sicurezza.

 

Opporsi al rifiuto o ricercare il desiderio reciproco?

Nessuna donna dovrebbe aver bisogno di inventare scuse per dire di no a un corteggiatore insistente, come nessun uomo dovrebbe mettere in conto di doversi opporre ad un iniziale rifiuto per ottenere le attenzioni di una potenziale partner.

In un piano adulto di comunicazione si dà per scontato che l’altro voglia dire proprio quello che vuole dire e si rispetta questo tollerando eventuali frustrazioni o imbarazzi che da questo derivano. L’incontro adulto fra due persone dovrebbe nascere da un desiderio espresso e condiviso reciprocamente, non dalla repressione né dall’oppressione. Se ne guadagnerebbe in stima di sé da entrambe le parti.

 

Bibliografia

Murgia M. (2011). Ave mary, Torino: Einaudi.

 

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Foto: Antonio Guillem / 123rf.com