Valore e dimensioni della professionalità

In qualsiasi ambito, tutti parlano di professionalità, forse però senza domandarsi cosa effettivamente essa sia. Un dilemma, quindi, sul quale è opportuno riflettere per sgomberare il campo da equivoci e perplessità. Quante volte si sente parlare di professionalità, o per rimarcarne l’importanza o per evidenziare l’assenza di comportamenti ispirati a un modo di fare e di agire esemplari ed eticamente corretti. In fondo, è proprio questo ciò che costituisce l’essenza della vera professionalità. Un fatto però è certo: oggi con troppa facilità e spesso a sproposito, e senza alcuna cognizione di causa, si parla di professionalità. Quasi fosse un bisogno psicologico comune (inconsciamente percepito) non ancora soddisfatto, o un’esi¬genza dell’immaginario collettivo di esorcizzare gli effetti negativi della sua mancanza. Senza considerare poi, che il termine “professionalità” affascina, seduce e crea comunque un alone positivo che non dispiace. Allora, professionalità uguale grimaldello “ever green” che non passa mai di moda, comodo attrezzo multifunzionale da maneggiare con disinvoltura, o bella cornice dorata per qualsiasi evento o contesto ambientale? Assolutamente no! È il caso quindi di domandarsi cosa sia davvero la professionalità, come si comportano i veri professionisti – quelli con la “P” maiuscola – come la si esprime in ambito organizzativo, sportivo, sociale, politico-istituzionale, culturale, ovvero come la si dimostra concretamente sul campo, al di là di ogni assunto teorico. La professionalità è innanzitutto una qualità non innata, che quindi si può progressivamente acquisire, una competenza declinabile in tre dimensioni tra loro interdipendenti: morale, professionale, relazionale

Valore e dimensioni della professionalità

In qualsiasi ambito, tutti parlano di professionalità, forse però senza domandarsi cosa effettivamente essa sia. Un dilemma, quindi, sul quale è opportuno riflettere per sgomberare il campo da equivoci e perplessità. Quante volte si sente parlare di professionalità, o per rimarcarne l’importanza o per evidenziare l’assenza di comportamenti ispirati a un modo di fare e di agire esemplari ed eticamente corretti. In fondo, è proprio questo ciò che costituisce l’essenza della vera professionalità. Un fatto però è certo: oggi con troppa facilità e spesso a sproposito, e senza alcuna cognizione di causa, si parla di professionalità. Quasi fosse un bisogno psicologico comune (inconsciamente percepito) non ancora soddisfatto, o un’esi­genza dell’immaginario collettivo di esorcizzare gli effetti negativi della sua mancanza. Senza considerare poi, che il termine “professionalità” affascina, seduce e crea comunque un alone positivo che non dispiace.

 

Allora, professionalità uguale grimaldello “ever green” che non passa mai di moda, comodo attrezzo multifunzionale da maneggiare con disinvoltura, o bella cornice dorata per qualsiasi evento o contesto ambientale? Assolutamente no! È il caso quindi di domandarsi cosa sia davvero la professionalità, come si comportano i veri professionisti – quelli con la “P” maiuscola – come la si esprime in ambito organizzativo, sportivo, sociale, politico-istituzionale, culturale, ovvero come la si dimostra concretamente sul campo, al di là di ogni assunto teorico. La professionalità è innanzitutto una qualità non innata, che quindi si può progressivamente acquisire, una competenza declinabile in tre dimensioni tra loro interdipendenti: morale, professionale, relazionale.

 

La dimensione morale chiama innanzitutto in causa i valori morali di fondo e i principi etici di una persona. Quei valori che ispirano (o che dovrebbero ispirare) il comportamento di qualsiasi serio operatore professionale. Al quale non può (e non deve) certamente sfuggire l’importanza cruciale della cosiddetta “asimmetria informativa”, ovvero di quel divario o “gap” di conoscenze specialistiche, esperienze, informazioni e background culturale, che pone il professionista in condizioni di vantaggio e superiorità intellettuale rispetto al suo interlocutore. Il vero professionista ne è consapevole, ma non ne approfitta mai in alcun modo per ricavarne un beneficio personale. Non solo, ma in forza di tale sensibilità (intelligenza sociale), egli comunica e si relaziona sempre con modalità simmetrica, cioè alla pari, privilegiando un linguaggio semplice, chiaro e alla portata di chi ha di fronte. Si creano così le premesse per un rapporto di reciproca fiducia, leale e trasparente, frutto dell’osservanza sistematica di un rigoroso codice deontologico, che il professionista si sente moralmente impegnato ad osservare dovunque e  sempre. Senza eccezioni di sorta o compromessi di qualsiasi natura.

 

Il secondo piano di declinazione del concetto di professionalità è costituito dalla dimensione professionale. Che è quella più facilmente osservabile, che vede il professionista all’opera. È la fase operativa (expertice) nella quale il professionista mette a disposizione di altri tutto il suo “sapere” e il suo “saper fare”, per conseguire gli obiettivi di volta in volta concordati. È il “momento della verità” in cui emergono le conoscenze, le competenze, l’esperienza professionale consolidata sul campo, l’intelligenza declinata nelle sue varie forme, la creatività “problem solving”. È quindi un momento cruciale in cui il “mestiere” viene fuori, prende forma e diventa sostanza.

 

Questa seconda dimensione della professionalità è quella che mette in crisi i non professionisti, gli sprovveduti che vedono franare pericolosamente il terreno sotto i loro piedi, perché privi di adeguate competenze ed esperienze. Cioè di quel “know-how” su cui poggia una moderna professionalità, e che di solito si matura e si rafforza sul campo con l’impegno, la passione e la cultura del sacrificio; quando ci si confronta con le incertezze, gli errori e le contraddizioni della professione, e si incontrano ostacoli imprevisti e problemi reali di lavoro. In questa dimensione così concreta e dinamica, i     soggetti privi di professionalità arrancano, riuscendo a conseguire risultati appena mediocri, certamente ben lontani dalle aspettative di chi ha riposto in loro piena fiducia, ritenendoli professionisti credibili e affidabili.

 

La terza dimensione della professionalità, la più critica, che spesso si sottovaluta, dandola erroneamente per scontata, è quella relazionale e umana; consiste nel “saper essere” veri professionisti. È la dimensione più complessa, articolata e forse anche più difficile da presidiare; quella che chiude il cerchio. D’altra parte, è proprio grazie alla dimensione relazionale che le altre due, quella morale e professionale, trovano piena espressione e completezza. Ma perché questa dimensione è la più difficile da gestire? Innanzitutto perché bisogna conoscere le regole e i principi fondamentali  della comunicazione interpersonale, che in genere si danno per acquisiti; in secondo luogo perché è importante disporre nel proprio repertorio comportamentale di abilità sociali e competenze emotive consolidate. Che non tutti hanno, e che sono invece assolutamente indispensabili sia per riconoscere, gestire ed esprimere in maniera socialmente adeguata pensieri, emozioni e stati d’animo (intelligenza emotiva), sia per governare la complessità delle dinamiche relazionali. Tra le competenze emotive rientrano, solo per citarne alcune, l’empatia, la stabilità psico-emotiva, la capacità di rialzarsi dopo un crollo psicologico (resilienza), la padronanza di sé e il self-control, la gestione dell’ansia e dello stress; ossia quelle competenze che si rivelano nevralgiche in situazioni critiche o problematiche, come un duro conflitto tra le parti, una negoziazione difficile o l’elaborazione di un lutto, non necessariamente inteso in senso letterale.

 

Tra le competenze appena citate, l’empatia (vedi) è senza dubbio la più importante e irrinunciabile per un professionista. Quella che crea la consapevolezza che davanti a sé, nell’esercizio della professione, si ha sempre a che fare con una “persona”; che prima di essere cliente, paziente, utente di un servizio, è un essere umano con i suoi problemi, desideri, perplessità e aspettative, che andranno attentamente ascoltati, compresi e rispettati da parte del professionista. Il quale dimostra tutta la sua competenza proprio a partire dal piano relazionale, facendo leva sulla capacità di ascolto empatico, che gli consente di entrare in “punta di piedi” nella prospettiva del suo interlocutore e di captarne il vissuto emotivo. Cioè quel mondo sconosciuto e altro da sé, che il professionista deve essere in grado di comprendere il più rapidamente possibile, senza però lasciarsene condizionare o travolgere. Se ciò invece accadesse, si metterebbero a repentaglio risultati e qualità della prestazione professionale.

 

A questo ipotetico professionista, di cui si sta tentando di tracciare un profilo completo, declinato su più livelli (psicologico, relazionale, emotivo, comportamentale), non possono nemmeno mancare altre due qualità: l’entusiasmo e l’ottimismo. Sono risorse mentali necessarie per operare con efficacia ed efficienza in qualsiasi ambito, senza manie di perfezionismo; quegli asset intangibili degli operatori professionali motivati e determinati, che non si accontentano mai della sufficienza nei risultati e puntano a performance eccellenti. Sono, in sintesi, le qualità che permettono a chi le possiede di svolgere con impegno e passione qualsiasi lavoro, che verrà concepito come “missione” personale, a prescindere dai suoi contenuti. E che un professionista coscienzioso e responsabile svolgerà sempre al meglio per sentirsi in pace con se stesso, pienamente soddisfatto e realizzato. 

 

Va da sé che l’ottimismo di cui qui si parla non è quello del sognatore con la testa tra le nuvole, che ignora i problemi o fa finta di non vederli,  come farebbe il proverbiale struzzo; è un sano ottimismo, un atteggiamento mentale realisticamente positivo, che davanti alle difficoltà e ai problemi si trasforma in coraggio, tenacia e determinazione. Il profilo psico-emotivo del professionista in questione si completa infine con un ultimo tassello: un’incrollabile fiducia in sé, saldamente sostenuta da una solida autostima e da profonde convinzioni di autoefficacia (vedi). Fattori questi di cruciale importanza, che fanno sentire tutto il loro peso (enorme) in situazioni critiche, quando per esempio sono in gioco obiettivi particolarmente rilevanti o strategici, che non si possono in ogni caso mancare. Dal quadro appena delineato, si deduce quindi che la professionalità è un costrutto globale, un insieme piuttosto articolato e complesso di conoscenze, competenze, strumenti e qualità umane, o se si preferisce virtù, che chi aspira a fregiarsi legittimamente del­l’appellativo di “professionista”, deve dimostrare di possedere con i fatti e non soltanto a parole. Considerato che sulle parole e sul millantato credito puntano tutte le loro carte gli “pseudo-professionisti”, ossia quegli operatori demotivati, superficiali e incompetenti nei quali oggi è sempre più facile imbattersi.

 

Da quanto sopra, deriva una sola conclusione. Colui che è effettivamente in grado di dimostrare professionalità, offrendo prestazioni e servizi di qualità superiore, possiede una marcia in più! Che gli deriva non tanto dalla capacità di soddisfare le aspettative e i desideri del cliente-utente, quanto dall’abilità di riuscire addirittura a superarle, grazie ad un approccio olistico alla professione, eticamente fondato. Si creano così i presupposti di un rapporto di lunga durata, basato su un “contratto psicologico” implicito, che conferma sia le condizioni relazionali (piacere di rivolgersi a quel professionista e non ad altri), sia quelle psicologiche (piena fiducia nei suoi confronti).

 

Ben venga, quindi, una professionalità così rigorosamente declinata a tutto campo, perché se da un lato essa diventa criterio di selezione nel mondo delle professioni, dall’altro si qualifica come “conditio sine qua non” per  ottenere consenso, approvazione, fiducia e meritato successo nel proprio lavoro. Un successo che inorgoglisce e gratifica quando è il risultato di grande impegno professionale, di competenza e forte senso del dovere; ma che delude e mortifica quando invece è frutto di obliqui meccanismi di cooptazione o di comportamenti sleali, che spianano la carriera a chi meriti non ne ha. D’altra parte, solo una professionalità eticamente fondata, che il professionista serio, coscienzioso e preparato non dichiarerà mai di possedere, astenendosi da dichiarazioni autoreferenziali, diventa vero “valore”. Un valore dalle mille sfaccettature che dura nel tempo, prezioso per sé e per gli altri.

 

Fonte: "Vocabolario dell'intelligenza emotiva ed altro…"  di Angelo Battista - Cacucci Editore 2011 pagg. 278

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