Trasformare il precariato in una professione stabile

Quadro normativo della nascita del lavoro precario

Trasformare il precariato in una professione stabile

Il precario è un lavoratore “senza fissa dimora”, un “nomade” del lavoro costretto a saltare da un impiego all’altro e da un contratto all’altro per un lungo periodo della propria vita. 

 

Il perché del precariato va ricercato nelle profonde modifiche legislative introdotte con la legge 196/1997, il cosiddetto “Pacchetto Treu “, ripreso nel 2003 dalla “Legge Biagi”.  Con questa legge si legalizzava il lavoro temporaneo o interinale. I contratti di fornitura di lavoro temporaneo potevano essere stipulati da aziende autorizzate che fornivano lavoratori alle aziende utilizzatrici.

 

Il lavoro interinale, vietato con una legge del 1960, nel 1997 trova piena applicazione, pur sempre con dei limiti: l’utilizzazione temporanea di soggetti con qualifiche non previste dai normali assetti aziendali e trasformazione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato se questo proseguiva per 10 giorni oltre la scadenza e 20 giorni per contratti della durata superiore a sei mesi. Il trattamento retributivo doveva essere equiparato ai contratti a tempo indeterminato.

 

Con la legge 30/2003, detta “Legge Biagi” si riordina l’ingresso nel mercato del lavoro introducendo nuove forme contrattuali come il contratto a progetto, il lavoro a chiamata, il lavoro condiviso, il contratto di inserimento. Lo spirito della legge era quello di favorire l’ingresso nel mercato del lavoro attraverso una certa flessibilità contrattuale da contrapporre alla rigidità classica del mercato del lavoro che rendeva difficile il ricambio generazionale.

 

Dalle leggi alla realtà il passo è stato molto diverso con situazioni di precariato infinito, diminuzione delle retribuzioni,  incertezza costante per il futuro e la sempre maggiore presenza di lavoratori e lavoratrici che restano per troppo tempo nella condizione di “precari” cioè con contratti o collaborazioni a scadenza, senza nessuna stabilità per il futuro. Ma anche da questa condizione si può imparare ad uscire per realizzare un percorso di crescita professionale.

 

Crescere professionalmente trasformando il precariato in una professione

Con la definitiva destrutturazione del mercato, a livello globale, sono drasticamente diminuite le opportunità di lavoro stabile ed a tempo indeterminato. Il classico posto fisso, desiderato da milioni di persone, è ormai solo un sogno; è più facile trovare una serie infinita di contratti di collaborazione.

 

Le aziende preferiscono il lavoro parasubordinato, senza vincoli di orati e di presenza, perché costa meno. Si tratta ormai del lavoro del futuro, diffuso e consolidato in America, dove i lavoratori a tempo vengono pagati di più e possono più facilmente trovare nuovi contratti.

 

Il lavoratore precario che vuole trasformarsi in professionista deve guardare prima di tutto alle scelte delle aziende. Se tutte o quasi propongono contratti a termine e collaborazioni, vuol dire che c’è un mercato del lavoro fatto esclusivamente di questo. I diversi contratti e collaborazioni maturati negli anni devono costituire non motivo di tensione  e di sfiducia per la mancata trasformazione del lavoro in un posto fisso, ma motivo di esperienza e di ulteriore arricchimento del curriculum.

 

Se avete già 40 anni e lavorate a termine da 10 anni e oltre, dovete spezzare questo circolo vizioso imparando a guardare al bagaglio di esperienze maturate e proponendovi  a priori come professionisti. Imparare a sapersi vendere al committente è il modo migliore per rendere continuative le collaborazioni e farle crescere anche dal punto di vista retributivo. In questo caso è utile specializzarsi in un determinato settore che vi darà la credibilità professionale per proporvi al committente. Quest’ultimo non dovrà essere visto come il datore di lavoro, ma come un cliente con cui lavorare per un certo periodo di tempo a cui dovranno seguirne molti altri.