Cambiamenti climatici, perché non riusciamo a preoccuparci davvero

Un lasso di tempo variabile fra i 2 e gli 8 anni: è questo l’arco di tempo che utilizziamo per considerare se un dato fenomeno climatico sia “normale” o eccezionale. Una distorsione cognitiva che porta a sottovalutare i reali cambiamenti climatici in atto.

Cambiamenti climatici, perché non riusciamo a preoccuparci davvero

Un gruppo di ricercatori ha esplorato come le persone mediamente percepiscano e interpretino i cambiamenti climatici in atto scoprendo che, se fenomeni “eccezionali” tendono a ripetersi nell’arco di alcuni anni, l’allarme invece di crescere (come ci aspetteremmo) diminuisce.

Quegli stessi fenomeni, infatti, finiscono con l’essere considerati normali, ordinari, come se subentrasse una sorta di assuefazione. Questo porta a sottovalutare l’impatto del clima e la gravità di alcuni eventi e potrebbe avere, secondo i ricercatori, ripercussioni non solo sull’opinione pubblica, ma anche sulle decisioni politiche.

 

I cambiamenti climatici che fanno “notizia”

Qualcuno forse ricorderà la perturbazione che il 4 gennaio 2018 ha portato un’eccezionale tempesta nevosa ad abbattersi sulla costa orientale degli Stati Uniti. O, per rimanere a casa nostra, i forti venti che hanno provocato una strage di alberi sulle Dolomiti a Ottobre 2018.

Fenomeni eccezionali, fuori dalla norma, che quando accadono acquistano molta risonanza sui social network: si contano i danni, si parla di pericolosi cambiamenti climatici, si punta il dito contro le amministrazioni locali ecc…

Ebbene, secondo la ricerca prima citata, questo tipo di reazioni tenderebbero ad affievolirsi se, in un arco di tempo fra i 2 e gli 8 anni, vedessimo il ripresentarsi di fenomeni di questo tipo. Per quanto strano e assurdo possa sembrare, pare che l’opinione pubblica utilizzi peculiari meccanismi psicologici che portano le persone a non valutare correttamente la portata di determinati eventi atmosferici specie se la discussione in merito ad essi si limita al canale dei social network…

 

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Il tempo dei cambiamenti climatici

I ricercatori, infatti, per condurre la loro indagine, hanno analizzato il contenuto dei messaggi diffusi su twitter a proposito del clima ed è proprio in merito alle comunicazioni sui social che hanno individuato un curioso fenomeno di “assuefazione” che porterebbe le persone a sottolineare meno, a segnalare meno spesso fenomeni atmosferici che non rappresentino più una novità inedita ma che si siano ripetuti nel corso degli ultimi anni.

Come a dire: invece di causare un allarme crescente e una parallela presa di coscienza dei cambiamenti climatici che (anche a causa nostra) sta vivendo il nostro pianeta, saremmo portati ad abituarci in fretta a catastrofi di questo tipo… Almeno per quel che avviene sui social.

Alla base di questo sembra esserci una vera e propria distorsione cognitiva che porta le persone a valutare la normalità o anomalia di un dato fenomeno atmosferico in un arco di tempo – dai 2 agli 8 anni – del tutto inadeguato ai cicli di vita della terra.

In altre parole: è come se confrontassimo i progressi di accrescimento/cambiamento di un neonato con quelli di un nonno ultracentenario: è naturale che nello stesso arco di tempo – un mese o due ad esempio - osserveremmo un numero impressionante di variazioni nel primo ma quasi nessuna nel secondo!

È quello che facciamo rispetto alla Terra: valutiamo la portata degli eventi climatici in base a un arco temporale “umano”: 2-8 anni è un periodo di tempo sicuramente significativo per la vita di una persona entro il quale si possono fare valutazioni e riflessioni su cosa è cambiato, cosa sta migliorando o peggiorando ecc.

Ma dimentichiamo che, mentre noi viviamo non più di 80-90 anni, la Terra vanta un’età che farebbe impallidire il più longevo dei nostri nonni: 4,54 miliardi di anni stando alle stime più recenti!

 

Cambiamenti climatici: quale futuro?

Ecco perché è del tutto incongruo valutare la normalità o eccezionalità di un dato fenomeno climatico sulla base di qualche anno. Basterebbe spostare il nostro temine di paragone su un arco temporale appena un po’ più ampio e risalire alle epoche pre-industriali per avere una percezione bel più realistica dei drastici e in alcuni casi preoccupanti fenomeni che hanno sconvolto il clima, la geologia e la fauna del nostro pianeta.

Gli orsi polari, ad esempio, vedono minacciata la sopravvivenza della propria specie a causa dello scioglimento dei ghiacci dovuto al riscaldamento globale. Un fenomeno, quest’ultimo, che ha molto a che fare anche con i fenomeni di freddo e caldo eccezionale che registriamo noi da diversi anni.

Ma solo se usciamo per un attimo dalla nostra prospettiva antropocentrica – dove il tempo si misura in anni (e non in miliardi di anni) e la vita si consuma entro confini piuttosto ristretti – possiamo preoccuparci davvero. Basterebbe, forse, allargare lo sguardo a considerare il futuro che rischiamo di lasciare ai nostri figli e ai figli dei nostri figli, come ha sostenuto Greta Thunberg.

 

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Foto: nitsuki / 123rf.com