L’ansia che delinea lo spazio personale

Qual è la distanza di sicurezza oltre la quale persone o cose invadono il nostro spazio personale rappresentando un potenziale pericolo? Ce lo dice la prossemica e…il nostro livello di ansia!

L’ansia che delinea lo spazio personale

Vi avvicina un passante per la strada chiedendovi un’indicazione: rispondete senza problemi fin tanto che l’imprevisto interlocutore si tiene ad una distanza “ragionevole” da voi, ma se durante la conversazione inizia ad avvicinarsi?

Può darsi che avvertiate disagio, irritazione o una forte ansia: quella persona sta invadendo il vostro spazio personale, quello che condividete solo con amici o familiari con cui avete un rapporto confidenziale.

Ma quanto misura questa “ragionevole” distanza a cui l’improvvido passante avrebbe dovuto mantenersi da voi?

Due ricercatori dell’University College di Londra l’hanno misurata dimostrando quanto sia variabile a seconda dei nostri personali livelli di ansia caratteriale.

 

Ansia e spazio personale

“Alt! Da qui in poi non ti avvicinare!”: è compreso fra i 20 e i 40 centimetri dal volto il limite dello spazio personale dal quale teniamo alla larga persone o cose estranee o potenzialmente pericolose.

La variabilità di questo spazio e della nostra personale soglia di tolleranza è ampiamente influenzata dall’ansia e, conseguentemente, dalla nostra soggettiva valutazione del pericolo.

Chiara F. Sambo e Gian Domenico Iannetti dell'University College di Londra hanno condotto uno studio nel quale si proponevano di misurare l’ampiezza della distanza personale; in particolare i due ricercatori si sono concentrati sulla zona del volto che è, senza dubbio, una delle parti del corpo più vicine all’Io con cui massimamente ci identifichiamo e che percepiamo con maggior consapevolezza.

Sono state effettuate delle misure in laboratorio in base alle risposte di ammiccamento fornite da un gruppo di soggetti reclutati per l’esperimento: il riflesso di ammiccamento consiste nell’automatica e involontaria chiusura delle palpebre non appena si percepisce un potenziale pericolo intorno alla zona oculare.

I risultati hanno evidenziato come questo tipo di risposta scatti in automatico quando uno stimolo doloroso o potenzialmente pericoloso minaccia il volto ad una distanza personale compresa fra i 20 e i 40 centimetri.

Ma c’è di più: la variabilità dell’ampiezza di tale distanza è ampiamente influenzata dall’ansia di tratto: le persone fortemente ansiose avrebbero una soglia di tolleranza minore al pericolo e tenderebbero di conseguenza a mantenere una distanza personale più ampia.

 

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La prossemica e le relazioni interpersonali

Lo studio in questione conferma e amplia quanto già osservato empiricamente dagli studi sulla prossemica e la gestione delle distanze interpersonali entro varie tipologie di interazioni sociali.

Fu l’antropologo Edward T. Hall a studiare e a definire per primo le diverse tipologie di distanze interpersonali: le persone totalmente estranee o con cui abbiamo soltanto rapporti formali vengono mantenute fuori da uno spazio confidenziale e tenute a distanze che fondamentalmente escludono il contatto corporeo (spazio sociale) o addirittura a volte limitano quello visivo (spazio pubblico: si pensi ai discorsi dei capi di stato, alle star sui palchi dei concerti eccetera).

Soltanto persone con cui abbiamo una certa confidenza o che conosciamo abbastanza bene sono ammesse nel nostro spazio personale in cui sono possibili e ammissibili diversi gradi di contatto fisico (dalla semplice stretta di mano all’abbraccio per fare degli esempi) e soltanto pochissime condividono con noi uno spazio intimo dove la distanza corporea può ridursi fortemente fino ad annullarsi.

Chi vìola il nostro spazio personale rappresenta una minaccia più o meno grave a seconda della circostanza ma, riprendendo lo studio citato, anche del nostro livello di ansia caratteriale.

 

L’ansia tutela o minaccia la sicurezza del nostro spazio personale?

I ricercatori in questione fanno riferimento all’ansia di tratto, ovvero alla tendenza più o meno stabile di una persona a sperimentare un certo grado di ansia e quindi di allarme a prescindere dalle caratteristiche oggettive di una certa situazione.

Va da sé che persone fortemente ansiose a livello caratteriale si troveranno facilmente in un cronico stato di allerta o comunque saranno predisposte a sperimentare un forte grado di ansia anche di fronte a situazioni che persone con livelli inferiori di ansia reputano tollerabili o non nocive.

Il segnale dell’ansia, e quindi la percezione di una minaccia o di un pericolo, sembra indurre a sopravvalutare l’imprevedibilità di determinate circostanze attuando manovre difensive preventive, come il mantenimento di una maggior distanza interpersonale.

Questo renderebbe ragione del fatto che livelli maggiori di ansia di tratto si associano ad una maggior ampiezza della distanza personale.

 

Ansia amica o nemica?

I due ricercatori si chiedono se e in che modo i risultati del loro studio possano essere applicati per migliorare le prestazioni di determinate categorie professionali, come i soldati o i poliziotti, che lavorano in constante stato di tensione e che sono chiamati continuamente ad operare una valutazione dei rischi.

Non sperimentare nessun tipo di ansia non sarebbe adattivo in quanto l’ansia è comunque un segnale che ci induce a prestare attenzione e a concentrarci là dove una situazione incerta lo richieda. L’ansia è però un segnale che bisogna poter gestire ed utilizzare, esserne sopraffatti può distorcere le nostre valutazioni della realtà limitando, invece che ampliando, il nostro raggio d’azione…

 

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