Relazioni, ascolto, tradimento

Si prende in visione l'evoluzione delle relazioni, che da un "Io" passa ad un "Noi", per tornare ad un "Io" arricchito dall'esperienza dell'ascolto.
Il tradimento infatti è visto nell'ottica dell'altro, del tradimento della fiducia, di un patto esplicito/implicito, ma prima di tutto svela il tradimento di sé, dei propri piani, obiettivi, aspirazioni e della capacità di stare in una relazione matura.

Relazioni, ascolto, tradimento

La capacità di stare in relazione con gli altri, è la tappa più complessa e articolata che l'uomo deve raggiungere. Tutti noi stiamo in mezzo agli altri ogni attimo, comunichiamo a vari livelli, con persone diverse, in modo diretto o mediato.

Stiamo con gli altri dal momento in cui veniamo concepiti, eppure stare con gli altri, stare accanto agli altri, parlare, ascoltare, non equivale a stare in una buona relazione. Non è così automatico.

Al momento in cui nasce, il bambino è assolutamente inconsapevole di sè e del mondo, percepisce delle cose di cui non ha ancora chiarezza, confine, definizione. Gradualmente questa consapevolezza si affina grazie ad un organizzatore centrale: l'Io.

Ed ecco quindi che l'Io e l'egocentrismo, in termini cognitivi, emotivi, relazionali, aiuta il bambino a conoscere, a far esperienza, a dare un nome ed un senso alle cose. L'incontro con altri Io e con altre isole egocentriche è assolutamente indispensabile e difficile.

L'incontro è fondamentale perchè la comprensione emotiva di sè, ovvero la definizione di sè come essere emotivo, sociale, relazionale, come persona amabile, può avvenire solo attraverso gli altri. Si va verso gli altri perchè è un bisogno dell'Ego ed un piacere, ma anche un dispiacere, la base di possibili frustrazioni.

La relazione quindi è costellata da due o più esseri umani che si incontrano, ciascuna con il bisogno di rispecchiarsi nell'altro, di provare una serie di sensazioni piacevoli e il tentativo di evitare quelle spiacevoli, che sono comunque inevitabili. La relazione sana, frutto di esperienza, riflessione, maturazione, sensibilità, si crea solo dopo aver imparato a prendere e a dare, a con-dividere, che comporta la rinuncia a sistemi di riferimento personali totalitari.

Esiste un noi, oltre che un io. La relazione amicale, oltre ad acquisire queste caratteristiche e a possedere un'emozione di fondo per l'altro, implica un'analoga modalità di trascorrere il tempo, di pensare le cose, di aspirazione di valori, ecc.

La relazione sentimentale a sua volta, oltre a comportare un sentimento più complesso ed un implicazione sessuale, condivide e realizza nel quotidiano tutto ciò. Non si tratta solo di stare in relazione per un tempo stabilito, ma di vivere con-, di condividere per l'intera giornata o quasi, per un numero di mesi o di anni. Nella relazione sentimentale infatti, anche nell'assenza, l'altro è presente almeno nella mente, nel ricordo, nell'impegno dato.

Non è necessaria la presenza effettiva per sentire la presenza, l'affetto, per avere certezza delle sue idee e delle cose condivise. Si vive legati dall'affetto ma anche da progetti comuni, in toto o in parte, nella realtà ma anche nella propria mente, nella propria progettualità, nell’investimento interno. Il tradimento allora cos'è?

 

Che vuol dire Tradire?

Se guardiamo all'etimologia della parola, emergono due accezioni fondamentali. La prima fa riferimento al tradire la buona fede dell'altro. La seconda si riferisce al far scoprire involontariamente, a far trapelare qualcosa che doveva rimanere nascono. La prima accezione rimanda ad una sorta di patto, più o meno esplicito, che fonda la fiducia, relativamente a condotte reciproche, a convinzioni, ad un sistema di vita, morale, ecc. Il patto stretto con l’altro e la fiducia vengono meno proprio con l’atto del tradimento. Il punto centrale è l’altro, la relazione con esso ed il sistema di vita condiviso.

La seconda accezione pone l’accento sul tradimento di sé, perché dal discorso o dal comportamento trapela qualcosa che doveva rimanere nascosto. Ci si era impegnati con sé a mantenere il silenzio su una certo aspetto, che è venuto meno. Nel primo caso è in rilievo l’atto che rompe l’alleanza, la fiducia, nel secondo lo svelamento involontario dell’atto. In verità il concetto è lo stesso, ciò che cambia è il soggetto verso cui si compie il tradimento, in un caso riguarda il partner, nell’altro sé stessi.

Da questo si capisce che non c'è solo tradimento del partner, ma anche di un amico, di un collega, di un'idea, di sè stessi. Il tradimento, nelle sue due accezioni richiama anche la duplicità di motivazione conscia e inconscia, che spesso non coincidono. Ad un livello consapevole si pronuncia una promessa, che poi viene meno col tradimento. Lo “svelamento” del tradimento, trapela la motivazione inconscia.

Capiamo bene che tradimento non si riferisce unicamente alla presenza di relazioni clandestine e multiple, ma il sottrarsi ad una parola, ad un patto di fiducia reciproca, alla promessa di non rivelare ad altri, ecc. L’altro è ferito, perché si accorge di avere davanti uno sconosciuto, qualcuno diverso da quanto visto fino a quel momento, che non è stato mantenuto l’impegno promesso e le azioni, le parole, i pensieri sono andate verso una direzione diversa. All’inverso può succedere che siamo noi stessi feriti per aver compiuto un atto diverso da quanto ci siamo prospettati inizialmente, non siamo stati capaci di tener fede al progetto stabilito.

All’opposto poi vi sono atti di fedeltà estremi, come quelli di coniugi ormai separati, che sono ancora aderenti alla coppia e alla famiglia, non tanto negli agiti ma negli investimenti, impedendosi di legittimare una nuova relazione consolidata, ma rimasta clandestina. Vi sono figli che rimangono fedeli ai genitori, nonostante siano da loro privati della libertà, della felicità, dell’amore e della protezione, come può essere nei casi di abuso e trascuratezza. Figli che identificandosi con l’aggressore, rinnegano sé, mantenendo un patto di silenzio. Questi sono casi estremi.

Vi sono poi molti figli, eccessivamente fedeli alla famiglia, che si impediscono di volare via, di essere sé stessi nelle scelte di vita, semplicemente ricalcando le orme genitoriali (a livello lavorativo, scolastico, sentimentale, ecc.). Non credo ci siano scelte più giuste di altre, ma solo scelte oneste con sé e con gli altri. Operazione difficile, perché impone impegno e frustrazioni. E’ difficile ascoltare il mondo dell’altro, non cercare di tirarlo a sé, di tenerlo legato, di interpretare sotto il proprio desiderio e filtro mentale, ciò che l’altro è.

E’ sicuramente faticoso mettersi in discussione, crescere e cambiare continuamente. Chi tradisce nel corpo, ma soprattutto nell’emotività, ha la responsabilità di quest’atto, nello stesso tempo chi viene tradito ha la responsabilità di questa condizione.

E’ raro e patologico l’impulso puro, irrefrenabile, abitualmente vi sono sempre segnali che lo preannunciano a sé e agli altri. E’ responsabilità di ciascuno di noi imparare sempre più a stare in relazione, che comporta la capacità di ascoltare e guardare l’altro, al di là dei propri bisogni e dei propri sogni. Spesso infatti, la ragione del fallimento di relazioni importanti risiede nella mancanza di reale incontro. Si rimane aggrappati all’immagine che ci siamo costruiti dell’altro, che deriva dai nostri bisogni, dai filtri emotivi e cognitivi, con cui collude il partner che per compiacenza o bisogno, gioca a qualche livello questo copione. Nello stesso modo, spesso nascondiamo noi stessi a noi.

Non riusciamo ad ammettere ogni componente del nostro mondo, le emozioni contrapposte, i lati oscuri, le parti indesiderate e inappropriate. I meandri della mente e del cuore e del loro incontro con altre menti e cuori è complesso, ne potremmo parlare per ore. Forse possiamo fermarci qui, chiedendoci adesso cosa possiamo fare per migliorare i nostri incontri. Vivere è sufficiente! Che comporta accettare il rischio della sofferenza, essere disposti a non giudicare ma a guardare e capire.

Spesso si soffre perché ci si sente vittime, perché si sente che l’altro ci ha ferito. Chiediamoci: “In che modo io ho permesso all’altro di ferirmi?” “Cosa non ho voluto vedere?” “A quale realtà non mi sono arreso?” “In che modo io, a mia volta ho ferito chi mi stava di fronte?” Queste domande, ci forniscono più serenità e forza, perché implicano la presa responsabilità di sé, l’accettazione ed il recupero del proprio potere! Non siamo così fragili, né così innocenti, né così vittime, né così diversi o distanti dagli altri.

Forse è necessario anche sapersi spostare, avvicinandoci e allontanandoci da noi stessi, pensando le cose in modo relativo. Niente è per sempre, ciascuna cosa fa parte del movimento fluido della vita! Ogni mattina, chiediamo, non quanto mi ama l’altro, ma quanto io mi amo e quanto io amo l’altro! Quanto sono capace e disposto a dare? Vedrete che il peso dell’altro e di voi stessi, assume un altro valore.