Giudizi sociali: che valore mi dai?

Giudicare gli altri o sentirsi superiori solo per elementi banali o stereotipali non sarà politically correct, ma è ciò che comunemente facciamo, almeno inconsapevolmente, quando diamo giudizi sociali sulla base di età, etnia, religione o altro, anche se ci piace raccontarcela diversamente…

Giudizi sociali: che valore mi dai?

Un gruppo di ricercatori dell’Università della Virginia ha condotto una serie di studi le cui conclusioni potranno risultare piuttosto irriverenti: per quanto ci sforziamo di essere equi e rispettosi sul piano cosciente, a livello inconscio tendiamo ad assegnare automaticamente giudizi sociali sulla base di supposti elementi di inferiorità o superiorità fondati essenzialmente su basi stereotipali e generalizzanti.

Attenzione quindi, potremmo non essere così politicamente corretti come ci piace pensare.

 

Giudizi sociali ed euristiche

Tutti noi molto spesso tendiamo a giudicare gli altri, specie coloro che non conosciamo personalmente, in base a manifestazioni esteriori o comportamentali del loro modo di essere: come mangiano, come si vestono, a che fascia di età, gruppo etnico o credo religioso appartengono; tutti questi e anche altri fungono da elementi che utilizziamo superficialmente per farci un’idea di chi abbiamo di fronte.

Perché questo avviene? In generale tendiamo a fornire giudizi sociali e quindi a giudicare gli altri per farci un’idea coerente su chi abbiamo di fronte sulla base delle poche e superficiali informazioni che abbiamo in possesso.

In altre parole, ci affidiamo ad euristiche - cioè scorciatoie cognitive -  con le quali tendiamo a formulare giudizi sociali sulla base di stereotipi e pregiudizi.

Nel fare questo cerchiamo, in automatico, di farci un’idea previsionale chiara di chi abbiamo davanti e di come comportarci di conseguenza anche per preservare quello che è il ruolo e l’immagine di noi stessi che vogliamo veicolare.

Le euristiche con cui formuliamo giudizi sociali ci aiutano, in altre parole, ad intraprendere interazioni prive di rischi dove, se mi faccio un’idea apparentemente chiara – anche se sterotipale – di chi ho di fronte, questo mi mette al riparo da elementi di incertezza e imprevedibilità che la conoscenza di una persona, a qualunque livello, estranea può comportare.


Stereotipi, pregiudizi e falsi miti intessono il senso comune fino a creare false informazioni. Analizziamo la psicologia del pregiudizio

 

Età, religione e appartenenza etnica fra superiorità ed inferiorità

La ricerca in questione ha preso in esame un ampio campione di soggetti con l’intento di esplorare gli atteggiamenti delle persone rispetto a tre grandi classi di giudizio: appartenenza etnica, religione ed età.

Mediante l’Implicit Association Test i ricercatori hanno cercato di esplorare come le persone giudicano inconsapevolmente gli altri sulla base di queste caratteristiche, al di là di quelli che sono gli espliciti valori e ideali di equità e giustizia più esplicitamente dichiarati.

I risultati di queste ricerche sembrano indicare che, anche se inconsapevolmente, operiamo continuamente giudizi di valore sugli altri privilegiando naturalmente la nostra appartenenza religiosa, etnica o di età e valutando di conseguenza tutte le altre sulla base di gerarchie stereotipali piuttosto trasversali e generalizzate.

Un esempio? Quella della prima infanzia e quella dei giovani adulti sembrano essere le fasce di età a cui assegniamo giudizi sociali più positivi; come riflesso di una società che non sa fare a meno di stereotipi di successo eternamente giovani e belli, ma che mai come adesso ha visto ingrossarsi le fila della beneamata terza età, non c’è male…!

 

Il bias attentivo è un processo cognitivo che ci porta a considerare, analizzare e controllare tutti gli stimoli che potenzialmente sono minacciosi. Vediamo nello specifico di cosa si tratta