Giornata della memoria: oggi dopo 70 anni

La Giornata della Memoria si celebra come ogni anno il 27 Gennaio, quest’anno a 70 anni precisi di distanza dalla fine degli orrori dell’olocausto. Un anniversario che impone, oggi più che mai, di non dimenticare quanto la paura e l’intolleranza per il “diverso” possano mettere in pericolo non una minoranza, ma la nostra umanità in quanto tale.

Giornata della memoria: oggi dopo 70 anni

1945 – 2015 il 27 Gennaio di quest’anno la Giornata della Memoria verrà celebrata a 70 anni di distanza dalla fine della seconda guerra mondiale.

 

Settant’anni… e la Giornata della Memoria

Settant’anni possono sembrare tanti, lunghissimi da attraversare, impossibili da immaginare se visti con gli occhi di un bambino; possono sembrare inutili, vani da ricordare e atti a lasciare il passato all’oblio per chi ha interesse a far dimenticare.

Settant’anni possono anche sembrare pochi, un soffio di vita che era appena ieri e non è più, sono l’età di un nonno ancora in forze per raccontare una favola, sono il tempo che separa altri “nonni”, nonni dell’umanità tutta, dagli orrori di un passato che non può essere dimenticato.

I sopravvissuti dell’olocausto, i testimoni diretti dei campi di sterminio di Auschwitz o Birkenau che, una volta esaurito il proprio percorso in questa vita terrena, lasceranno a noi, e solo a noi che lì non eravamo, che allora non eravamo neanche nati, il pesante e oneroso fardello di non dimenticare.

Settant’anni è la vita che è ricominciata, il mondo che è cambiato da allora, ma è anche quel numero di serie tatuato sull’avambraccio, quella scritta razzista che imbratta oggi, e non ieri, il muro sotto casa che, di colpo, risveglia la memoria e annulla il tempo e le distanze…

 

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La celebrazione della Giornata della Memoria

Non penso sia possibile neanche provare a immaginare cosa significhi per questi “nonni” tornare, spesso in occasione della Giornata della Memoria, in quei luoghi, in quello che resta dei campi di concentramento dove sono stati rinchiusi e che oggi vedono trasformati in musei.

Non so cosa significhi per questi titani dell’umanità ritrovarsi in questi luoghi magari con gruppi di scolaresche, di adolescenti che nulla sanno, a cui tocca, in occasione della Giornata della Memoria, l’ineludibile compito di raccontare quella storia che non avremmo mai voluto dover sentire.

 

Convivere col ricordo di ciò che non si è vissuto

Mi ha colpito il titolo di una manifestazione che verrà organizzata a Trieste per la Giornata della Memoria: “Convivere con Auschwitz”: l’ho trovato illuminante portatore di una verità profonda: la Shoah non è una semplice vicenda, magari di guerra, non è un affare politico, non è neanche una questione religiosa e basta. Questi sono riduzionismi, risibili, che collocano e relegano quanto avvenuto in un passato, in una “storia” che possiamo prima o poi legittimarci a chiudere nei libri di scuola.

La Shoah e l’Olocausto è tutti i genocidi e gli stermini di massa che, purtroppo, hanno costellato e segnano tutt’ora la storia dell’umanità, è quella “banalità del male” che Hannah Arendt descrisse e che può appartenere a chiunque di noi come “banali” esecutori di ordini là dove abdichiamo alla nostra umanità, alla nostra soggettività di pensiero e di sentire come esseri umani.

Non era forse questo che finì per accomunare atrocemente tanto gli esecutori quanto le vittime della Shoah? Molti superstiti raccontano di aver vissuto questo senso di alienazione e di deumanizzazione mentre erano rinchiusi nei campi di sterminio e di come pochi, apparentemente piccoli, ma significativi episodi accidentali avessero fatto tornare in loro la percezione di quella condizione umana che lo sterminio nazista negava loro.

 

Auschwitz raccontato agli adolescenti

Avevo 18 anni e fui parte di quei gruppi di adolescenti che con la scuola hanno visitato i campi di Auschwitz e Birkenau ascoltando le testimonianze di questi “nonni”. Da allora non ho alcun bisogno di vedere o leggere nulla che documenti o racconti dell’Olocausto, le loro parole – quelle di chi ha attraversato la morte e ha continuato a vivere – hanno lasciato un’impronta profonda, sicuramente shoccante, forse indelebile.

Eppure penso che nella giornata della memoria andare ad Auschwitz e ascoltare ciò che questi “nonni” hanno da raccontare, attraverso la loro voce o coloro che danno voce alla loro storia, sia qualcosa di doloroso ma di necessario che dovremmo garantire ai nostri figli, perché anche loro facciano l’esperienza di dover “convivere” con Auschwitz, cioè col male di cui l’umanità è capace, per non dimenticare.

All’ingresso del campo di Auschwitz c’è una frase ormai nota scritta a lettere di ferro ll lavoro rende liberi, chi dovesse trovarsileggerla con i propri occhi, così come la lessero coloro che vi furono deportati quando vi arrivarono, è pregato di lasciare in tasca lo smartphone e di “acoltare” il dolore e l’orrore che abitano quel luogo.

Il rispetto per l’umanità, tutta, anche quella diversa che più ci turba e meno ci piace, è la miglior vendetta, la miglior risposta alla “banalità del male”.

 

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Nel video, l'intervista su Tv2000 ad Alberto Mieli, uno dei pochi sopravvissuti agli orrori di Auschwitz-Birkenau