L’effetto spettatore: perché si resta a guardare?

Se ci capita di essere testimoni di un pericolo o di un’aggressione, saremmo più propensi a prestare soccorso se siamo da soli piuttosto che in compagnia di altri. Le ragioni di questo comportamento apparentemente paradossale ce le spiega la psicologia sociale.

L’effetto spettatore: perché si resta a guardare?

Ben 30 lunghi minuti… questa la durata dell’arco temporale in cui si consumò il delitto di Kitty Genovese, una giovane donna americana brutalmente assassinata davanti a casa sua il 13 marzo del 1964 sotto gli occhi dei vicini: nessuno intervenne.

Questo sconcertante episodio diede il via a una serie di studi e ricerche in psicologia sociale che portarono a definire quello che è oggi noto come effetto spettatore. Una serie di fattori psicosociali che spiegherebbero come possa accadere che, assistendo ad emergenze o pericolo per altri, le persone invece di intervenire possano rimanere semplicemente a guardare (J. M. Darley e B. Latané, Bystander intervention in emergencies: Diffusion of responsibility, in Journal of Personality and Social Psychology, vol. 8, 1968, pp. 377–383).

 

Effetto spettatore: accorgersi di quello che sta accadendo

Altruisti si nasce o si diventa? Non c’è in realtà una risposta univoca che consenta di prevedere con certezza se e come una persona fornirà aiuto ad un’altra. Molti sono i fattori in gioco e, più di tutti, il fatto di essere spettatori solitari o di assistere all’evento in presenza di altre persone a causa di alcuni processi cognitivi e comportamentali associati.

In primo luogo occorre che una persona sia in grado di “notare” che qualcosa non va, che si accorga percettivamente di quello che sta accadendo. Può sembrare una banalità ma non è così.

È stato infatti dimostrato che mediamente le persone quando sono da sole si rivelano maggiormente attente e vigili rispetto a quando sono in presenza di altri. Anzi, in contesti molto affollati può accadere che l’isolamento e il ritiro dallo scambio sociale, come avviene ai pendolari, rappresentino una strategia adattiva moderna all’obbligo di dover dividere spazi molto angusti con perfetti sconosciuti.

Difficile prevedere, dunque, se un viaggiatore nell’ora di punta si accorgerà del borseggiatore che attenta al portafogli altrui o dell’aggressore che tenta di palpeggiare la ragazza di fronte a lui.

 

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Effetto spettatore: è emergenza oppure no?

Ma, anche una volta notato che qualcosa non va, occorre che si sia in grado di stabilire se si tratta realmente di un’emergenza. Le valutazioni in questo senso potrebbero non essere affatto realistiche nei contesti sociali.

In uno dei primi esperimenti sull’argomento, ad esempio, si osservò il comportamento del soggetto di fronte ad un’invasione di fumo nella stanza quando egli si trovava da solo piuttosto che in compagnia di altri osservatori “passivi”. Se nel primo caso le persone si mettevano in allarme dopo pochi secondi, temendo incendi e altre catastrofi, nel secondo erano maggiormente portate a non dare l’allarme o a procrastinarlo escludendo cause gravi.

Il motivo? L’adeguamento sociale al comportamento altrui: se gli altri non fanno nulla saremmo portati a imitarli concludendone che, se per gli altri non c’è da preoccuparsi, allora non sta accadendo nulla di grave anche a dispetto di evidenze piuttosto macroscopiche come quella della situazione sperimentale ora descritta (B. Latané e J. M. Darley, Group inhibition of bystander intervention in emergencies, in Journal of Personality and Social Psychology, vol. 10, 1968, pp. 308–324).

 

Effetto spettatore: a chi tocca intervenire?

Un altro fattore in gioco è il grado di responsabilità che un osservatore avverte rispetto a quanto sta accadendo. Questo in riferimento sia a fattori situazionali (si interviene più facilmente in situazioni a bassa ambiguità e a basso rischio) e individuali (quante capacità si ritiene di avere per intervenire) che a fattori sociali.

È il fenomeno noto come diffusione della responsabilità (Darley e Latanè, 1968) tale per cui, in un contesto sociale, si tende a scaricare la responsabilità sugli altri piuttosto che sentirsi chiamati in causa in prima persona.

 

Effetto spettatore: uguale o diverso?

Un ultimo elemento certamente importante è la coesione e appartenenza al gruppo. È più probabile infatti che si fornisca aiuto se si percepiscono delle somiglianze tra sé e la vittima. Se, in altre parole, si ritiene che la vittima appartenga al proprio gruppo sociale (genere, etnia etc). Questo aspetto influenza la capacità a provare empatia e quindi la propensione ad agire.

“Ricordati, se mai dovessi aver bisogno di una mano che ti aiuti, che ne troverai una alla fine del tuo braccio... Nel diventare più maturo scoprirai che hai due mani. Una per aiutare te stesso, l’altra per aiutare gli altri.” (Audrey Hepburn)

 

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