Vorrei ma non posso: dalla sublimazione alla nevrosi

Quando vi arrabbiate molto correte in cucina e con un bel coltello affilato iniziate a sminuzzare gli ingredienti per fare un’ottima cena? Probabilmente usate la sublimazione per trasformare l’aggressività in qualcosa di produttivo. Meglio che somatizzarla con un attacco di gastrite!

Sublimazione, vorrei ma non posso

Credit foto
©scyther5 / 123rf.com

 

Sublimare un impulso significa poterlo esprimere attraverso forme indirette e costruttive canalizzando quell’energia in attività creative e produttive che consentano di esprimerla in modi utili per la persona stessa e per gli altri.

La sublimazione è un meccanismo di diesa fra i più sani e adattivi che proteggono da una nevrosi cioè un disagio psicologico dove il compromesso tra impulsi conflittuali viene trovato a spese del benessere psichico e delle energie vitali della persona.

 

La sublimazione secondo Freud

Mordere, ferire, sporcare, lottare, guardare e essere guardati… Impulsi infantili che il buon vecchio Freud aveva evidenziato come substrato primitivo della psiche umana e poiché la loro espressione diretta è spesso incompatibile con le richieste/obiettivi della vita socialmente adulta, la mente può utilizzare tutta una serie di strategie per cercare una mediazione, un qualche compromesso fra spinte interne e richieste esterne.

Queste strategie sono rappresentate dai meccanismi di difesa, fra cui la sublimazione che consente di “dare un colpo al cerchio e uno alla botte” esprimendo un impulso ma facendolo al servizio di mete costruttive.

Un classico esempio è quello del chirurgo o del dentista: secondo questa teoria dei meccanismi di difesa, professioni di questo tipo potrebbero rappresentare (non è detto naturalmente che ciò valga per tutti) anche una forma di sublimazione dell’aggressività: in fondo si taglia e si infliggono ferite a “fin di bene”…

 

Leggi anche Frustrazione e aggressività, quale relazione >>

 

Sublimazione, nevrosi e difese adattive

La sublimazione non è l’unica difesa adattiva della psiche, ci sono altri meccanismi difensivi maturi che le persone possono adottare per gestire al meglio non solo i propri impulsi (aspetto centrale nelle originarie teorie un po’ “biologiste” di Freud) ma più in generale tutti quegli aspetti emotivi della vita psichica che rappresentano la “risonanza” che le esperienze hanno dentro di noi e al tempo stesso il carburante motivazionale alle nostre azioni e reazioni.

La mente, si sa, è tutt’altro che lineare: possiamo essere animati da motivazioni in contrasto tra loro (ad esempio: vorremmo cogliere un’opportunità lavorativa in un’altra città, ma al tempo stesso vorremmo rimanere dove siamo e risiedono i nostri affetti), potremmo non avere la dimestichezza necessaria per riconoscere e gestire le emozioni più disturbanti o essere suscettibili a forti angosce non appena facciamo qualcosa di nuovo o ci capita un imprevisto.

Queste e altre vicende della vita possono essere gestite in molti modi. I meccanismi di difesa più sani ci aiutano a esprimere l’inesprimbile direzionandolo verso mete costruttive, come nel caso della sublimazione; a prendere le distanze da quello che ci accade grazie a un po’ di sano umorismo; a non lasciarci sovrastare dall’emotività mantenendo salda la nostra capacità di ragionamento, come avviene nell’intellettualizzazione e così via… Anche queste difese però possono far parte di una struttura caratteriale nevrotica se adottate rigidamente.

 

Sublimazione ma non solo…

Ben venga dunque la sublimazione, ma attenzione a non sopravvalutarla. Anzitutto, come abbiamo visto, non è l’unico meccanismo di difesa “evoluto” che la psiche può adottare: una condizione di salute psicologica prevede la possibilità di adottare una molteplicità di strategie per rapportarsi con se stessi e con gli altri.

In secondo luogo è bene ricordare che, per quanto soggetti ad essere sublimati e trasformati, gli impulsi più infantili e primitivi della nostra psiche rimangono parte del nostro bagaglio psicologico e richiedono anzitutto di essere accettati e riconosciuti, nessuna evoluzione veramente creativa è possibile se non ci confrontiamo con i lati più oscuri e meno desiderabili della nostra personalità.

Riconoscere le nostre imperfezioni significa rinunciare a un’immagine onnipotente di sé stessi e venire a patti con la realtà assumendoci la responsabilità per le risorse e le potenzialità che comunque abbiamo.

 

Leggi anche Atti mancati e lapsus, tra patologia e normalità >>

 

Foto: Alexander Korzh / 123rf.com