Linguaggio e pensiero nello sviluppo del bambino

Che rapporto c’è tra linguaggio e pensiero? In che modo l’uno può influenzare l’altro durante le fasi dello sviluppo? Queste alcune domande a cui vari Autori della psicologia hanno cercato nel tempo di dare risposta. Attualmente sembra che linguaggio e pensiero siano funzioni strettamente correlate e interdipendenti sia nello sviluppo che nella vita adulta.

Linguaggio e pensiero nello sviluppo del bambino

Lo sviluppo del linguaggio e quello del pensiero sono inevitabilmente correlati sia perché la comunicazione verbale richiede l’accesso a capacità simboliche e rappresentazionali del pensiero, veicolando messaggi che vadano oltre la concretezza del qui e ora; sia perché il linguaggio guida la concatenazione logico-sequenziale dei concetti e dei propri ragionamenti interiori.

In tal senso risultano interessanti l’approccio dell’epistemologia genetica di Jean Piaget e quello della scuola Storico-Culurale russa di Lev Semënovič Vygotskij.

Lo sviluppo di linguaggio e pensiero secondo Piaget

Secondo Jean Piaget lo sviluppo del linguaggio sarebbe conseguente a quello del pensiero, cioè alla capacità rappresentazionale che insorge durante lo sviluppo cognitivo della prima infanzia.

Se infatti il bambino, alla nascita, possiede degli schemi molto semplici di elaborazione delle informazioni e di scelta delle risposte (stadio senso motorio), dai 18 mesi ai 6 anni (stadio preoperatorio) si consolidano schemi di risposta più complessi e, con essi, lo sviluppo di rappresentazioni mentali degli oggetti e delle interazioni.

Questo consente lo sviluppo del linguaggio, la principale espressione di tale funzione simbolica; tale periodo è tuttavia ancora caratterizzato da un certo egocentrismo del bambino: quando parla non ha consapevolezza che si possono avere punti di vista diversi dai suoi e non si preoccupa di adattare il suo linguaggio all’esigenze dell’interlocutore.

E’ solo nella seconda infanzia (stadio operatorio-concreto 6-11 anni): che il pensiero del bambino, pur rimanendo ancora agganciato al piano della concretezza, diviene meno egocentrico: anche se per il bambino è ancora difficile assumere la prospettiva altrui, il linguaggio diviene socializzato. Sarà solo dopo gli 11 anni (stadio pensiero logico-astratto o formale) che il pensiero diverrà logico-deduttivo e ipotetico-astratto

 

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Lo sviluppo di linguaggio e pensiero secondo Vygotskij

Secondo Lev Semënovič Vygotskij il linguaggio si troverebbe in relazione dinamica con il pensiero in quanto in grado di trasformarlo e influenzarlo. Infatti, pur avendo un’origine indipendente, linguaggio e pensiero si integrano nel corso dello sviluppo divenendo strutturalmente interdipendenti.

In tal senso, per Vygotskij l’interiorizzazione del linguaggio è un passaggio evolutivo cruciale poiché consente la formazione delle funzioni psichiche superiori: intorno ai 3 anni infatti il linguaggio interpersonale si scinde in un linguaggio socializzato con funzione una comunicativa verso gli altri e un linguaggio egocentrico dove il bambino parla con se stesso per guidare il pensiero, risolvere problemi e pianificare le proprie azioni

Il bambino crescendo, da un lato affina le proprie capacità di comunicazione verbale, dall’altro interiorizza il linguaggio egocentrico in modo progressivo fino a farne il proprio linguaggio interiore.

Se quindi per Piaget il linguaggio egocentrico del bambino scompare nelle fasi successive trasformandosi in linguaggio sociale; per Vygotskij, la mente del bambino è per sua natura sociale lo sviluppo del linguaggio egocentrico costituisce un presupposto evolutivo della pianificazione del proprio comportamento; esso pertanto non scompare del tutto, ma diviene strumento di pensiero nella forma silente del linguaggio interno.

 

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