Se i pazienti diventano virtuali…

Sono stati ideati di recente, con l’ausilio dell’intelligenza artificiale, pazienti virtuali in grado di interagire via computer con psichiatri e psicologi; una sorta di role playng all’avanguardia che vorrebbe fare da ponte tra teoria e pratica per i giovani operatori della salute mentale offrendo la possibilità di interagire con un archivio di casi virtuali… La realtà della mente e dei rapporti umani tuttavia, e per fortuna, rimane più complessa e meno prevedibile.

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Si chiamano Justin e Justina, sono i primi pazienti virtuali realizzati con la nuova tecnologia presentata dall’American Psychological Association: grazie all’intelligenza artificiale e ad un programma di riconoscimento vocale questi “pazienti virtuali”, riproducendo i sintomi dei vari disturbi psicologici e psichiatrici, sarebbero in grado di intrattenere via computer in una vera e propria conversazione offrendo agli operatori della salute mentale una nuova opportunità nel campo della formazione in psicologia e psichiatria. E’ una rivoluzionaria invenzione o Freud si starà rivoltando nella tomba?

 

Pazienti virtuali e tecnologia

La tecnologia fa passi da gigante si dirà, se psichiatri e psicologi possono allenarsi con pazienti virtuali prima di “mettere le mani” su esseri umani in carne e ossa allora possiamo dormire tutti sonni più tranquilli! La nuova tecnologia potrebbe offrire, fra l’altro, una gamma abbastanza “completa” dei possibili casi diagnostici, un archivio multimediale per tutti i gusti insomma! Proposta, questa, che ricorda i simulatori di volo adottati per la formazione e l’aggiornamenti dei piloti d’aereo: si impara “come funziona” la macchina, quali procedure effettuare e, una volta “in volo”, già si sa cosa si deve fare…  Sicuro che nel lavoro clinico tutto fili così liscio?

 

Pazienti virtuali e storie di vita

Diversi autori (Di Ninni, A., 2004, L’intervento per la salute mentale) sottolineano quanto poco utile possa rivelarsi una prassi diagnostica automatizzata nel campo della psicologia e della psichiatria là dove quelli che si vorrebbero sintomi tipici o caratteristici dei cosiddetti disturbi mentali non consentono di risalire, come avviene invece in medicina, a cause univoche da “rimuovere” per ripristinare uno stato di funzionamento mentale “sano”. I pazienti virtuali interagiscono sulla base dei loro sintomi “tipici” e nulla di più perché privi della complessità e dell’unicità della storia di vita che una persona reale porta con sé e che conferisce caratteristiche uniche e non prevedibili all’interazione clinica ma assolutamente essenziali per la sua comprensione e la promozione di un cambiamento.

 

Pazienti virtuali e cambiamento

L’effetto forse più pericoloso di tecnologie come quella dei pazienti virtuali risiede proprio nel suo elemento di maggior fascinazione: quello di poter “provare”, potersi “sperimentare” nel lavoro clinico in un ambiente “protetto” al riparo dagli imprevisti e le incognite che qualunque reale interazione clinica comporta e alla quale non si potrà forse mai essere addestrati artificialmente. D’altra parte anche un paziente “reale”, per superare le sue difficoltà, deve accettare i rischi di un processo di cambiamento di sé “reale” e non virtuale e, proprio per questo, dagli esiti non scontati né predeterminati.

 

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