Gli effetti psicologici del complottismo

Il complottismo sembra rappresentare oggi l’elemento principale di quelle posizioni critiche e dissenzienti rispetto al pensiero e all’opinione corrente riguardo avvenimenti politici e sociali. Quali sono le conseguenze psicologiche di queste campagne di contro-informazione?

Gli effetti psicologici del complottismo

L’allunaggio sarebbe tutta una messa in scena su un set cinematografico, i vaccini rappresenterebbero in realtà un pericolo per la salute che gli interessi delle case farmaceutiche fingono di ignorare, le torri gemelle sarebbero state una tragedia tutt’altro che inaspettata e i terremoti chissà… potrebbero essere fenomeni non del tutto “naturali” ma frutto di esperimenti e tecnologie al limite del  paranormale.

Vi sembra assurdo? O forse leggendo qualcuna di queste affermazioni potreste essere più propensi a prenderla in considerazione rispetto alla versione “ufficiale” che viene fornita?

D’altra parte perché dovremmo credere a tutto quello che “ci raccontano”? Se fosse tutto un complotto?

Vediamo meglio quali sono gli effetti psicologici del complottismo.

 

Se il complottismo seduce la nostra parte emotiva

Potremmo andare avanti a lungo con affermazioni come quelle precedenti e probabilmente alcuni di voi si sarebbero già emotivamente “schierati” pro o contro queste teorie “alternative”, che sono fra gli esempi più noti del complottismo che anima le correnti di controinformazione più diffuse in rete.

Eppure pensateci un attimo: in quello che ho citato non ho fornito elementi concreti per verificare o vagliare criticamente la plausibilità di queste affermazioni… tuttavia la parte emotiva del vostro cervello potrebbe già essersi fatta un’idea in merito a queste presune false notizie, in barba a logiche e ragionamenti razionali. Vediamo perché.

 

Contro-informazione o dis-informazione?

Contrastare il senso di impotenza che si percepisce nei confronti degli avvenimenti politico-sociali che sembrano investirci su scala globale, reagire al senso si vittimismo e di inefficacia derivanti dall’impossibilità percepita a dare un significato agli eventi: questo il significato essenzialmente auto-protettivo dell’adesione, da parte di molti, a teorie di conto-informazione che reinterpretano molti degli avvenimenti politici e sociali alla luce del complottismo disconfermando e screditando le spiegazioni che “alla luce del sole” vengono comunemente date di questi eventi.

Gli effetti psicologici e comportamentali dell’adesione, su vasta scala, a queste teorie non è tuttavia di poco conto. Il complottismo, come fenomeno di massa, ci impone serie riflessioni sulla necessità esercitare un reale pensiero critico sulle informazioni – tutte le informazioni – veicolate ormai senza limiti nel mondo digitale e globalizzato.

 

Riscattarsi da emozioni di passività e impotenza

Pensiamo all’esempio dei vaccini: stiamo assistendo in questi anni ad un preoccupante fenomeno per il quale sempre più persone rifiutano di vaccinare i propri figli.

Questo pone la necessità di valutare seri rischi di salute pubblica là dove, se il calo delle vaccinazioni diventasse consistente, potremmo assistere al ritorno di virus infettivi del passato che i vaccini avevano consentito di debellare dal mondo occidentale.

Ma anche il mancato ricorso a precauzioni contro malattie sessualmente trasmissibili come l’AIDS (Hoyt et al, 2012;Bogart et al., 2010), o la diminuzione delle intenzioni di voto e la crescente sfiducia e scetticismo contro le istituzioni democratiche (Butler et al.,1995; Jolley e Douglas, 2014) possono, in parte, essere sostenute dalle teorie del complottismo.

Se una malattia è un’invenzione a tavolino di qualche multinazionale, se ciò che dovrebbe proteggerci ci starebbe invece nuocendo subdolamente, se coloro che dovrebbero garantire i nostri diritti sociali e civili starebbero solo facendo i loro interessi, saremmo in trappola, vittime passive e inermi di interessi economico-globali che ci privano di qualunque possibilità di scelta?

Il complottismo fornisce emozionalmente un’alternativa: avere a disposizione una contro-teoria, schierarsi dalla parte di coloro che non si farebbero ingannare e resisterebbero ai tentativi di manipolazione consente di recuperare un senso di efficacia personale (Newheiser et al., 2011).

Questa è una delle ragioni che più di altre sostengono l’adesione a teorie che si rifanno al complottismo per disconfermare la spiegazione che comunemente viene fornita di determinati eventi.

 

Cosa ci fa ritenere certe fonti di informazione sul web più affidabili di altre?

 

Euristiche e scorciatoie cognitive

Tuttavia, sembra che il complottismo risenta dello stesso vizio di forma di cui risentono le spiegazioni “ufficiali” che vorrebbe controbattere: risulta fare presa sulle persone non in base alla razionalità dei contenuti che propone, ma su base di euristiche, attraendo cioè consensi di tipo sostanzialmente “emotivo” (Thresher-Andrews, 2013; Brotherton e French, 2014).

Ricordate le affermazioni proposte all’inizio dell’articolo? Pur se prive di spiegazioni razionali hanno il potere di suscitare accordo o disaccordo immediato nell’interlocutore e di schierarlo emotivamente pro o contro.

Questo anche perché il complottismo deve la notorietà delle sue teorie al mondo digitale dove queste trovano vastissima diffusione. La questione, dal nostro punto di vista, non è se l’uomo sia sbarcato sulla luna o se abbia recitato una parte sotto un riflettore cinematografico, quanto piuttosto che, nell’uno e nell’altro caso, si tende a formarsi un’opinione piuttosto netta non sulla base dell’esercizio di una capacità critica sulle informazioni veicolate, quanto sulla scorta di scorciatoie cognitive che ci inducono ad adottare una o l’altra soluzione in base a come, emotivamente, ciascuna delle due opzioni ci fa sentire.

 

Pensare e tollerare l’incertezza

Complice di tutto questo è in parte il mondo di internet, dove informazioni di tutti i tipi circolano all’impazzata, dove si può trovare tutto e il contrario di tutto e dove spesso la notizie non sono sempre verificabili come sembrerebbe (Coady, 2006; Swami et al., 2010).

Occorre a quanto pare rieducarci ad un uso critico e “pensato” delle tecnologie di informazione a cui abbiamo accesso, tollerare il senso di incertezza che determinati eventi possono suscitarci e provare a ricordarci che, spesso, la realtà è molto più complessa di come appare.

Forse raramente si tratta di scegliere fra “bianco” e “nero”: più spesso elementi e spiegazioni contrastanti coesistono e ognuno di noi è chiamato a prendere una posizione personale, senza poter aderire acriticamente ad un’opinione preconfezionata.

Bene quindi le informazioni e le contro-informazioni se assunte con un’adeguata dose di riflessione e pensiero critico.

 

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