Il bias attentivo e i disturbi d'ansia

I disturbi psicologici come quelli legati all'ansia si possono generare da meccanismi naturali e salutari che si esprimono in versione maladattiva. Questo è lo scenario che ci permette di comprendere la relazione che sussiste tra il bias attentivo e i disturbi di ansia. In questo caso un meccanismo di coping "si inceppa" mantenendo fissa l'attenzione sulla causa di ansia innescando un circolo vizioso. Vediamo come!

Il bias attentivo e i disturbi d'ansia

Sebbene il bias attentivo sia presente in diversi disturbi psicologici, dalla letteratura emerge il suo ruolo centrale nel caso dell'ansia.

Una certa fissità dell'attenzione su stimoli minacciosi, infatti, sarebbe fondamentale sia in fase di insorgenza, sia nel mantenimento e anche nel peggioramento del disturbo d'ansia.

 

Quale relazione?

Diversi sono gli studi scientifici che dimostrano questo legame e che hanno alla base una teoria per cui i processi cognitivi agiscono in base a schemi ricorrenti che determinano come orientare l'attenzione, cosa ritenere e cosa buttare.

Il bias quindi agisce non solo focalizzando le risorse attentive sulla minaccia nel "qui e ora", ma aumentando la probabilità che ciò accada anche nel futuro e impedendo alla nostra attenzione di considerare stimoli.

Ciò induce ad aumentare la sensazione/percezione di rischio escludendo tutto quello che potrebbe ridimensionare lo stimolo ansiogeno.

 

La metacognizione e i disturbi psicologici

La relazione che da più fonti è stata sottolineata tra bias attentivo e ansia rientra in un modello più vasto che collega i meccanismi cognitivi nei disturbi psicologici. Un modello di questo tipo è quello messo a punto da Adrian Wells nel suo libro "Terapia Metacognitiva dei disturbi d'ansia e della depressione".

Secondo Wells, come per le altre terapie cognitive, i meccanismi cognitivi e relativi bias sono alla base dei disturbi psicologici, ovvero l'uso distorto di un meccanismo cognitivo causa disagio. Le specificità del suo pensiero consistono un due punti:

  1. l'importanza della metacognizione come processo fondamentale per comprendere come ragioniamo
  2. il ruolo centrare della ruminazione mentale alla base del disagio psicologico.

La ruminazione fa si che l'individuo continui a macinare i soliti pensieri a causa di un bias attentivo che concentra l'attenzione sulla fonte di ansia e impedisce di allargare l'ottica.

Wells insiste sulla rigidità del pensiero come causa del disturbo d'ansia e sottolinea la necessità di modificare il proprio stile di pensiero attraverso il canale della metacognizione. da qui nasce il nome della terapia: Terapia Metacognitiva.

 

Come funziona la metacognizione nel bambino?

 

Il training attentivo

Stabilito il ruolo del bias attentivo, come si può intervenire su di esso per gestire il disturbo d'ansia? Wells con la sua terapia propone alcune tecniche; qui vediamo più in dettaglio il training attentivo.

Questo tipo di trattamento ha come scopo quello di superare il bias non spostando l'attenzione su altro, quasi ad ingannare i pensiero, ma piuttosto di prefigge di potenziare le capacità metacognitive e quindi liberarsi da un automatismo dannoso.

Ogni seduta consta di tre parti di cinque minuti, cinque minuti e due minuti finali:

  1. attenzione selettiva: il soggetto, alla presenza di molti rumori provenienti da diverse fonti, deve concentrarsi solo su quelli di natura ambientale;
  2. rapido spostamento dell'attenzione: il soggetto deve spostare la propria attenzione da un suono all'altro (aventi localizzazioni spaziali differenti). La velocità dello spostamento aumenta progressivamente;
  3. attenzione divisa: gli ultimi due minuti sono di potenziamento, per cui il soggetto deve cercare di elaborare le informazioni provenienti da due fonti contemporaneamente.

 

Che legame c'è tra insonnia e bias attentivo?