Le voglie in gravidanza fra scienza e mito

Secondo la tradizione popolare le stravaganti e urgenti voglie alimentari a cui vanno talvolta incontro le donne durante la gravidanza possano, se non soddisfatte, “lasciare traccia” in una corrispondente macchia cutanea sulla pelle del bambino. Si tratta di un mito che ha radici molto antiche e che, benché sfatato dalla scienza, mantiene tutto il suo potere simbolico veicolando significati per la psiche profonda della donna e il legame psicocorporeo che ella intrattiene col nascituro.

Le voglie in gravidanza fra scienza e mito

La donna in gravidanza può essere turbata da urgenti desideri alimentari, anche i più stravaganti e fuori stagione che, se non soddisfatti, rischierebbero di lasciare traccia sulla pelle del nascituro sotto forma di macchie cutanee di dimensioni o colore simili a quelle dell’alimento desiderato. La tradizione popolare è piena di simili credenze che la scienza ha più volte smentito. Si tratta però di credenze popolari molto antiche che fanno ormai parte dell’immaginario collettivo di ogni donna.

 

Le origini della credenza popolare delle voglie

La credenza popolare delle voglie in gravidanza affonda le sue origini nel ‘500 quando si riteneva che fantasie, desideri e turbamenti della madre al momento del concepimento o durante la gravidanza potessero influenzare la conformazione del feto e fin anche malformazioni e aberrazioni che la scienza dell’epoca non sapeva spiegare. Fu solo nel ‘700 che, a seguito di un acceso dibattito, si giunse a negare evidenza scientifica al fenomeno delle voglie negando che l’immaginario materno potesse produrre effetti sulla conformazione del feto ma inaugurando di fatto anche quella scissione fra corpo e mente che fonda tutt’oggi la medicina moderna e la medicalizzazione della gravidanza escludendo la donna dall’aver voce in capitolo in merito a quanto le accade durante la gestazione (Pacino, C., Voglie materne: storia di una credenza, CLUEB, 1996).

 

I significati simbolici delle voglie

La scienza medica spiega le stravaganti voglie in gravidanza come conseguenze dei cambiamenti ormonali e metabolici che caratterizzano questa fase, mentre alcune teorie psicologiche riconducono il fenomeno delle voglie ad una sorta di “capriccio” col quale inconsapevolmente la futura mamma richiama su di sé le attenzioni e le cure del partner e di chi le sta intorno. Oltre a queste due posizioni, senz’altro vere, ve n’è una terza offerta dal dibattito e dalle riflessioni di stampo psicoanalitico sulla gravidanza e la maternità che esplorano, non tanto la veridicità scientifica o meno del fenomeno, quanto i significati simbolici che la credenza della voglie veicola nella psiche collettiva per le future mamme.

 

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La dimensione immaginativa in gravidanza

Vari autori in ambito psicoanalitico, fra cui Silvia Vegetti Finzi, evidenziano l’importanza della dimensione immaginativa durante la gravidanza dove la futura madre va ristrutturando la propria dimensione identitaria intorno ad un bambino che ancora non conosce se non in quelle che sono le sue aspettative e i suoi desideri (“il bambino della notte”). Simbolicamente la credenza delle voglie, e quindi di un potere performativo del desiderio materno, sottendendo un rapporto attivo fra madre e feto, riunifica l’identità corpo-mente della gestante - oggi scissa e scotomizzata nella medicalizzazione della gravidanza e del parto – restituendo alla dimensione immaginativa materna quel ruolo di primo piano che gioca nella costruzione di un legame madre-bambino, precedente la nascita, ove il bambino “reale” possa trovare un posto (Angelini, M., Trinci, M., Le voglie: l'immaginazione materna tra magia e scienza, Meltemi, 2000). “Giocare” con le voglie e lasciarsi assecondare nei più stravaganti desideri alimentari può essere allora un modo non certo per fare scienza, ma per “fare posto” nella propria psiche, oltre che nel proprio corpo, all’idea del nascituro e all’identità di futura mamma.