Idealizzare i genitori: da Freud a Bowlby

Amare i genitori o idealizzarli? Non è forse lo stesso dilemma che i genitori si pongono nei confronti dei loro figli. Vediamo cosa ne pensano i “grandi” della psicologia a riguardo dell’idealizzazione

Idealizzare i genitori: da Freud a Bowlby

Ogni genitore ama suo figlio e nei primi anni di vita è davvero considerato una superstar.

Per i nostri piccoli il genitore rappresenta un esempio e un traguardo della crescita e sembra quasi dotato di poteri: tutto gli riesce facile.

Purtroppo l’amara verità è un’altra: i genitori sono più allenati alle sfide della vita, hanno più esperienza e per questo cercano di creare un contesto protetto dove i figli non debbano scontrarsi con sfide eccessive.

Questa impressione è comunque utile e assolutamente funzionale ad una buona crescita del bambino che solo nell’adolescenza prenderà atto della “natura umana e imperfetta” dei sui genitori.

Durante l’infanzia si può parlare di vera idealizzazione, ed è giusto idealizzare i propri genitori?

Vediamo cosa nel pensano Freud e Bowlby.

 

Freud e l’idealizzazione

Secondo Freud l’idealizzazione è una dei meccanismi di difesa dell'Io, una forma non necessariamente patologica attraverso la quale l’individuo si distacca dalla realtà per costruire una sua interpretazione che soddisfi i bisogni narcisistici.

Secondo Freud il bambino si rifugia nell’idealizzazione quando i genitori non hanno saputo apprezzarlo per come è, rimandando sempre l’impressione che possa essere migliore: che possa raggiungere un’ideale di perfezione.

La ricerca della perfezione guiderà allora il bambino durante lo sviluppo delle sue relazioni. Ma qual è questa idea di perfezione? Da un lato la costruiscono i genitori stessi, dall’altro è l’immagine idealizzata dei genitori insita nel bambino che fungerà da modello e che lo porterà a ricercare futuri partner con caratteristiche analoghe.

In questo caso, non è tanto l'idealizzazione del genitore ad essere disfunzionale, ma trasmettere al bambino l’idea che il suo modo di essere non sia abbastanza e che esista un ideale irraggiungibile per lui in quel momento: il comportamento da adulto.

 

Modelli Operativi Interni e idealizzazione

Anche John Bowlby nella sua Teoria dell’Attaccamento sottolinea l’importanza della relazione con la figura d’attaccamento come base per la costruzione del Sé del bambino.

Nel corso delle interazioni il piccolo mette insieme le rappresentazioni del caregiver, di come si svolge la relazione con lui e dell’immagine che l’adulto gli rimanda formando quelli che lo psicologo inglese chiama i Modelli Operativi Interni (MOI).

I MOI non agiscono solo durante l’infanzia, ma hanno un’importanza fondamentale durante tutta la vita della persona in quanto influenzano sia la raccolta, sia l’elaborazione delle informazioni in entrata, cioè costituiscono una prospettiva attraverso cui osservare il mondo.

Per osservare l’attaccamento nell’adulto è stata messa a punto una procedura chiamata Adult Attachment Interview che si basa su due presupposti:

  1. La ricostruzione della propria infanzia risente delle esperienze attuali,
  2. La ricostruzione dell’infanzia avviene in modo idealizzato, soprattutto in caso di esperienze negative.

Anche nel caso della teoria dell’Attaccamento l’idealizzazione è un processo difensivo attraverso cui il bambino e l’adulto si proteggono da un ricordo negativo, anche per quanto riguarda l’immagine dei propri genitori.

 

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