Quando la dipendenza da videogiochi è malattia mentale, intervista a Stefano Bonato

Insieme allo psicologo Stefano Bonato abbiamo analizzato i sintomi di una patologia solo recentemente riconosciuta dall'Oms: il gaming disorder, la dipendenza da videogiochi. A che punto siamo in Italia con la diagnosi e la cura di questa nuova malattia?

Quando la dipendenza da videogiochi è malattia mentale, intervista a Stefano Bonato

L'Organizzazione mondiale della Sanità ha inserito la dipendenza da videogiochi tra i disturbi mentali. Questo riconoscimento ha importanti conseguenze nell'ambito della formulazione della diagnosi da parte dei medici e nella gestione della patologia. Ne abbiamo parlato con lo psicologo Stefano Bonato, autore del volume "MMorpg, introduzione alla psicologia dei giochi di ruolo online".

 

Cos'è il Gaming disorder e come si manifesta?

Nella bozza dell’undicesima versione dell’International Classification of Diseases (ICD-11), per la prima volta compare "gaming disorder" (WHO, 2017).

Definito come un modello di comportamento di gioco persistente o ricorrente che può avvenire online come offline, il Gaming Disorder comporta:
1) compromissione del controllo sui giochi;
2) crescente priorità nella misura in cui il gioco ha la precedenza su altri interessi della vita e attività quotidiane;
3) persistenza o crescita dell’uso dei videogiochi nonostante il verificarsi di conseguenze negative.

Il modello comportamentale necessario per fare una diagnosi deve essere di gravità sufficiente a causare una compromissione significativa in aree di funzionamento personali, familiari, sociali, educative, professionali o di altro tipo, evidenti in un periodo di almeno 12 mesi per poter assegnare una diagnosi.

 

In Italia come affrontiamo la dipendenza dai videogiochi?

Viviamo in un mondo in costante evoluzione, un perenne cambiamento a cui molto spesso è difficile sottrarsi e altrettanto difficile stare al passo. Le trasformazioni che avvengono nel nostro contesto socio-culturale a volte sono così drastiche e repentine che non riusciamo nemmeno a coglierne alcune sfumature.

I professionisti della salute mentale che intendono aiutare soggetti con questo disturbo dovrebbero fare lo sforzo di conoscere il mondo videoludico in modo approfondito e quindi aggiornare le proprie conoscenze.

E' di fondamentale importanza, nella fase di presa in carico degli individui che hanno sviluppato un coinvolgimento problematico con i videogiochi, riconoscere le caratteristiche emergenti che oggi rendono questi ambienti virtuali così attraenti, appassionanti e spesso difficili da abbandonare.

Questi mezzi di intrattenimento che prevedono un rapporto tra individuo e computer o console, rappresentano un sistema costituito da un ambiente virtuale permanente e in continua evoluzione condiviso contemporaneamente da milioni di utenti che lo abitano attraverso la creazione, la personalizzazione e il controllo di personaggi virtuali, detti anche Avatars.

La vastità degli ambienti, la possibilità di creare un individuo virtuale ma con caratteristiche paragonabili a quelle di un individuo reale e l’opportunità di interagire con un’infinità di altri utenti per competere o per collaborare nel raggiungimento di obiettivi comuni, rende il gioco un’esperienza, per certi versi, simile alla vita reale.  

Ritengo, riguardo il Gaming disorder, che siano ancora molti gli aspetti non ancora sufficientemente esplorati come pure gli argomenti sui quali in letteratura non c’è ancora sufficiente evidenza e consenso. E’ necessario approfondire quali sono gli individui maggiormente a rischio di sviluppare il disturbo, quali sono i sintomi e i segni dell’Internet Gaming Addiction.

Si dovrebbe inoltre indagare se il processo avviene secondo determinate fasi. Non conosciamo con precisione le tempistiche dello sviluppo del disturbo né quale sia la durata del disturbo senza alcun trattamento. Non è ancora chiaro quali tipi di trattamento siano maggiormente efficaci.

Non si sa, inoltre, se differenti tipologie di persone possano beneficiare di differenti tipi di trattamento. E' importante, a mio avviso, investire maggiormente nella ricerca, in modo da comprendere meglio questo disturbo, analizzare l'epidemiologia in Italia, individuare protocolli d'intervento efficaci. Ritengo, dunque, che l'Italia (e non solo) abbia ancora molta strada da fare in questo campo.

Il mio nuovo libro, intitolato "MMORPG Introduzione alla psicologia dei giochi di ruolo online", mira ad approfondire i Massively Multiplayer Online Role-Playing Games (o giochi di ruolo online) , sistemi in grado di accogliere contemporaneamente milioni di giocatori che condividono il medesimo ambiente virtuale che hanno rivoluzionato il modo in cui i giovani di oggi giocano con i videogames. 

Il libro, rivolto ad educatori, psicologi, counselor, pedagogisti, genitori, insegnanti, aiuta a comprendere le caratteristiche che rendono il gioco di ruolo online un genere talmente attraente e appassionante da portare alcuni utenti a trascurare importanti attività e responsabilità della vita quotidiana a causa di un coinvolgimento eccessivo.

Sono approfondite le evidenze che negli ultimi anni hanno indotto la comunità scientifica a supporre che tali ambienti virtuali, nati come forma di intrattenimento, possano causare, in alcuni casi, una vera e propria dipendenza patologica.

 

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Esiste qualche dato sulla dipendenza dai videogiochi e a livello internazionale?

Gli studi epidemiologici sulla prevalenza della dipendenza da videogames si basano sulla definizione data dalla quinta e più recente edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5), pubblicato nel 2013.

Il gruppo di lavoro delegato alle dipendenze ha ritenuto di inserire il Disturbo da Gioco su Internet (IGD) tra le condizioni che necessitano di ulteriori approfondimenti. Questi studi hanno utilizzato criteri diagnostici comuni e hanno portato alla luce dati relativamente simili, con un tasso di prevalenza compreso, sostanzialmente, tra l’1% e il 2%. È necessario precisare, tuttavia, che i partecipanti dei vari studi appartenevano a fasce d’età molto diverse una dall’altra. Il genere più studiato finora è proprio il Massively Multiplayer Online Role-Playing Game. 

I risultati rivelano che l’utente medio è prevalentemente maschio con un’età compresa tra i 20 e i 30 anni che dedica al gioco più di 20 ore alla settimana, iscritto almeno da un paio d’anni e fedele al genere di videogioco da qualche anno.

Pare, inoltre, che il coinvolgimento in questo tipo di gioco sia significativamente maggiore rispetto agli utenti di altri generi. Dai risultati emerge che le motivazioni di questo forte coinvolgimento nel gioco riflettano le caratteristiche che contraddistinguono il MMORPG dagli altri giochi.

L’utente, infatti, apprezza la possibilità di socializzare, dato che il gioco dà sia l’opportunità di competere e di progredire nel gioco sfidando gli altri, sia quella di collaborare con loro nel raggiungimento di obiettivi comuni. Il tutto accade in un ambiente virtuale accattivante e dinamico, all’interno del quale il giocatore può immergersi attraverso un Avatar che lo rappresenta e sfuggire, per alcune ore, ai problemi della vita reale

Quanto emerso rivela che il MMORPG è un ambiente nel quale convergono molte risorse degli utenti. Se comparati con gli altri generi di videogames, i MMORPG sembrano coinvolgere gli utenti in modo più intenso. Tuttavia i ricercatori hanno avuto modo di notare che non tutti coloro che trascorrono molto tempo giocando con questi videogames sviluppano gravi problemi nella propria vita. 

In altre parole, due giocatori possono giocare per un numero identico di ore settimanali, ma la loro motivazione psicologica e il significato che il gioco ha nella loro vita possono essere molto diversi. Tuttavia, trattandosi di un gioco perpetuo, attivo 24 ore su 24 e 7 giorni su 7 e che richiede, per raggiungere determinati livelli, quasi obbligatoriamente un coinvolgimento eccessivo, esso potrebbe risultare maggiormente problematico rispetto ai giochi offline per alcuni individui “a rischio”.

 

Qualche consiglio alle famiglie per gestire in casa i momenti di tensione?

Mi sento di dire alle famiglie che la soluzione del problema non si ottiene semplicemente eliminando i dispositivi di gioco.

Secondo l'approccio sistemico relazionale, infatti, l'abuso di videogiochi viene letto come un sintomo, un segnale. L' abuso di videogiochi, spesso, rappresenta solamente la superficie visibile di problematiche più profonde. Di fronte a questo segnale, la famiglia può comprendere meglio la situazione cercando di rispondersi ad alcune importanti domande:

Domande sul gioco: 

- Che tipo di gioco è? Come funziona il gioco? L'utilizzo di questo gioco è stato concordato con i genitori? I contenuti di questo gioco sono adatto all'età del giocatore? 

Domande sul sintomo e sul contesto familiare:

- Come mai l'abuso di videogiochi arriva proprio in questo momento? In quali fasi del ciclo di vita si trova il giocatore? Quale significato può avere questo sintomo nel contesto familiare?

Consiglio alle famiglie in difficoltà a gestire la situazione di consultarsi con uno psicologo o lo psicoterapeuta preparato in questo campo, per farsi aiutare a dare un significato a ciò che sta accadendo in casa, per comprendere in modo più approfondito le dinamiche familiari che contribuiscono a mantenere il sintomo e quindi per farsi guidare verso un cambiamento che possa portare ad un miglioramento.

 

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Foto: andreypopov / 123RF Archivio Fotografico