Disturbo dipendente di personalità

Tutti noi dipendiamo in varia misura dal sostegno degli altri. Quando però una persona ha assoluta necessità di dipendere sempre e comunque da una “guida” per mantenere il proprio equilibrio psicologico, si parla di disturbo dipendente di personalità. Gli svantaggi, in tal caso, superano i vantaggi…

Disturbo dipendente di personalità

Immaginate una persona che dopo una lunga infermità, dovuta magari a un’ingessatura, si ritrovi con una gamba più debole dell’altra. Cosa le converrà fare per recuperare al meglio la capacità di camminare autonomamente? Senza dubbio esercitare la gamba atrofizzata, giacché, continuando ad affidarsi solo alla sua stampella, non farà altro che rinforzare la gamba già sana e aggravare l’inabilità di quella precedentemente inferma. Il principio della psicoterapia con una persona con una dipendenza caratteriale o un vero e proprio disturbo dipendente di personalità è proprio questo: non si tratta di eliminare la dipendenza, ma di sviluppare ciò che è “atrofizzato”: la capacità della persona di sapere chi è e che cosa vuole (Dimaggio, 2007).

 

Disturbo dipendente di personalità e stereotipi di genere

Il Disturbo dipendente di personalità è fra i disturbi psicologici che più risentono di pregiudizi e stereotipi di genere (avviene, per motivazioni diverse, anche per i disturbi alimentari). È stato considerato infatti che, con molta probabilità, tale disturbo tende ad essere sottodiagnosticato in certe culture (quelle dove è la dipendenza relazionale piuttosto che l’intraprendenza e l’autorealizzazione a essere incoraggiata) e nel genere femminile (la dipendenza sarebbe quindi più facilmente rilevata come problematica nel sesso maschile). 

Eppure il disturbo dipendente di personalità è una modalità di organizzazione del funzionamento psicologico che va ben oltre quelli che sono i parametri culturali o di genere (Gabbard, 2015).

Una personalità orientata in senso dipendente è tipica di quelle persone che, per il proprio funzionamento psicologico, prediligono la relazione con l’altro alla realizzazione di sé. Questo le porta “naturalmente” a instaurare relazioni buone, accudenti e gratificanti con gli altri e dona loro una sensibilità non comune poiché sono spontaneamente portate a instaurare e a mantenere il legame (McWilliams, 2011).

Quando però questa dimensione dipendente della personalità non è bilanciata con altre risulta pervasiva: la persona basa il proprio funzionamento, il proprio modo di percepire sé stessa e il mondo intorno alla dipendenza da una figura di riferimento senza riuscire a sviluppare opinioni, iniziative e scelte autonome.

 

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Disturbo dipendente di personalità: la paura del “vuoto”

Come osserva Dimaggio (2007), la persona con un disturbo dipendente di personalità percepisce così “vitale” la presenza di una figura di riferimento da vivere vere e proprie alterazioni dei propri stati mentali in presenza o assenza di tale figura. Quando si sente rassicurata da questo sostegno ne ricava un senso compiuto di identità, spesso ne prende “a prestito” opinioni, hobby o interessi e si sente in grado di attendere ai propri compiti con sicurezza. 

Quando la figura di riferimento viene a mancare (una rottura affettiva, una partenza per un viaggio, un’ospedalizzazione ecc..) la persona dipendente si sentirà precipitare in un “vuoto” terrificante perché si sentirà priva di idee, contenuti mentali, iniziative autonome. In altre parole: chi ha un disturbo dipendente di personalità ha assoluto bisogno della presenza di una figura di riferimento per sentirsi una “persona”.

 

Disturbo dipendente di personalità e legami coercitivi

Anche quando la figura di riferimento (che non è necessariamente il partner in un legame di coppia, le stesse dinamiche possono prodursi con un fratello, un genitore o un figlio ad esempio) non viene meno, la persona pagherà tuttavia dei costi emotivi molto alti per mantenere il legame poiché si potrà ritrovare molto spesso in legami affettivi coercitivi e manipolatori dove si sentirà obbligata ad assecondare le richieste/aspettative dell’altro, anche quando divergono dalle proprie, per paura di un possibile abbandono.

Per questi motivi le persone dipendenti hanno molta difficoltà a dire di no, a litigare in modo costruttivo e a esprimere idee e opinioni contrarie o divergenti da quelle delle persone affettivamente importanti per loro.

 

Disturbo dipendente di personalità e attaccamento sano

In realtà non è la dipendenza che va “eliminata”. Nessuno di noi è esente da dimensioni di dipendenza nei confronti degli altri significativi. Abbiamo bisogno di avere altre persone su cui poter contare, da cui poter avere sostegno e incoraggiamento e da cui sentirci amati e stimati. Tutto questo sostiene il nostro senso di sicurezza emotiva, autostima e identità. Tuttavia, nei legami di attaccamento sani, l’altro dovrebbe poter essere percepito come “base sicura”, cioè come polo di incoraggiamento a esplorare nuove strade, compiere scelte autonome e autosufficienti. L’attaccamento affettivo sano incoraggia la separazione e l’allontanamento per l’autorealizzazione dei suoi membri, non li vincola in un legame sempre più stretto.

Affinché una persona con disturbo dipendente di personalità possa beneficiare della “base sicura” dei legami di attaccamento (o iniziare ad instaurarne di più sani) è importante possa sviluppare un senso autonomo di sicurezza interiore, una maggior consapevolezza delle proprie risorse personali, delle proprie capacità, di quali sono i propri pregi o difetti, di cosa vuole, cosa le piace e cosa desidera

In altre parole: quella persona ha bisogno di scoprire in sé stessa che tipo di persona è, non definirsi sulla falsariga di un modello altrui, e imparare a “dipendere” anche da queste acquisizioni interne per orientarsi nelle proprie scelte autonome e, con esse, negli affetti più soddisfacenti e maturi dove l’attaccamento e l’autonomia non vengano più percepiti in modo conflittuale.

 

Bibliografia

Dimaggio G. (2007). I Disturbi di Personalità. Modelli e trattamento: Stati mentali, metarappresentazione, cicli interpersonali. Laterza.
Gabbard G. (2015). Psichiatria Psicodinamica, Cortina.
McWillams N. (2011). La diagnosi psicoanalitica, trad. it, Astrolabio, Roma, 2012.

 

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