Psicologia dell’autodifesa femminile

Passive, insicure, remissivi angeli del focolare: questa l’immagine stereotipata di donne-madri che fin dagli albori della civiltà occidentale si è inscritta nella memoria collettiva ed è divenuta parte integrante dell’identità femminile. Questo il peso più ingombrante da dover affrontare nella psicologia dell’autodifesa femminile: non si tratta di andare oltre i propri limiti, ma accettarli con responsabilità e rispetto per sé stesse.

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Etimologicamente la parola limite rimanda all’idea di “confine”, segno volto in qualche modo a delimitare la separatezza ma anche l’esistenza di uno spazio rispetto a quanto è ad esso esterno o estraneo. Nella psicologia dell’autodifesa femminile il concetto di limite appare quanto mai centrale, il limite non solo delle proprie potenzialità fisiche rispetto a quelle di un potenziale aggressore, ma il limite quale confine del proprio corpo fisico e psicologico, del proprio spazio personale e privato che troppo spesso non viene tutelato e rispettato. Fino al 70% delle aggressioni e delle violenze sulle donne provengono da amici, conoscenti, mariti o ex partner, in casa o nei luoghi di lavoro.

 

Psicologia delle differenze di genere nell’autodifesa

Troppo spesso, anche causa dei media, si pensa ai corsi di autodifesa femminile come all’apprendimento di magiche strategie che rendano capaci anche le donne più fragili di disarcionare i più feroci e improvvisi aggressori. Ben più raramente - come evidenziato acutamente dal sito sicurezzapersonale.net - si pone l’accento sul fatto che, da un lato, la maggior parte delle violenze avviene in casa o nei luoghi di lavoro, dall’altro che è la psicologia, prima della tecnica fisica, a fare la differenza fra uomini e donne.

 

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L’autodifesa fisica e psicologica

Le donne partono senz’altro svantaggiate in casi di aggressioni per un ovvia ed ineliminabile disparità fisica rispetto agli uomini; sarà politically incorrect, ma disconoscere questo dato di realtà è pericoloso e ingannevole. D’altra parte prima e ben più frequentemente di conclamate aggressioni fisiche o violenze, le donne sono ordinariamente vittime di prevaricazioni, aggressioni verbali, discriminazioni e violenze di tipo psicologico che non chiamano subito in campo una diretta disparità fisica, ma da cui molte stentano comunque a mettere in atto comportamenti di autodifesa. L’autodifesa femminile non è soltanto fisica, ma è prima di tutto psicologica (Marina Valcarenghi, L’aggressività femminile, Mondadori, 2008).

 

Aggressività femminile e autodifesa

L’identità femminile è ancora oggi ingombrata dai residui di quello che M. Cristina Balducci definisce nel suo libro Il velo e il coltello. L'aggressività femminile tra cura e cultura (Vivarium, 2006) un “postulato granitico e millenario” ovvero l’identificazione della donna con stereotipi di accudimento, passività e remissività epurati da qualunque componente di aggressività, combattività e assertività. L’aggressività è invece una componente inalienabile anche della psicologia femminile, non si identifica con prevaricazione o violenza, ma rappresenta il motore per far valere le proprie idee, perseguire i propri obiettivi con determinazione e far rispettare assertivamente i propri confini e i propri diritti non “abbozzando” alle avances inopportune di un collega di lavoro, a minacce o a commenti rabbiosi di un partner svalutante: questi sono già atti di violenza.

Il primo passo nella psicologia dell’autodifesa femminile è la prevenzione, per attuarla è fondamentale non solo riconoscersi vulnerabili fisicamente, ma anche degne di rispetto e in diritto di tutelare i propri confini sia fisici che psicologici. Senza questa premessa anche le arti marziali più sofisticate saranno di dubbia efficacia.

 

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