Il sessismo che… non ti aspetti!

Non occorre essere “uomini che odiano le donne” per discriminare e svalutare il genere femminile. Esiste una forma di sessismo molto più subdolo, spesso ignorato dalle stesse donne, nascosto dietro tutta una serie attenzioni e premure tese a “proteggere” e tutelare questi esseri vulnerabili e speciali…

Il sessismo che… non ti aspetti!

Siamo alle soglie del terzo millennio, abbiamo alle spalle il ‘68, le lotte di classe, il femminismo e l’emancipazione della donna… Disquisiamo di teorie “gender”, coppie di fatto e unioni arcobaleno… Ci meraviglieremmo insomma di apprendere che sì, certi atteggiamenti stereotipali, certe discriminazioni di genere le abbiamo ancora noi, a casa nostra: il sessismo è ancora parte della nostra cultura, ma è così subdolo che spesso non ce ne rendiamo conto.

Basti vedere il video della campagna Pubblicità Progresso del 2014 “Punto su di te per superare i pregiudizi sulle donne”: la donna è ancora molto spesso considerata come oggetto sessuale o ricondotta all’ambiente domestico, più raramente le si riconosce l’attributo di persona a prescindere dal suo genere di appartenenza.

 

Il sessismo nelle immagini pubblicitarie

“Ogni volta che un uomo reale accende la sigaretta di una donna reale, il suo gesto presuppone che le donne siano oggetti di valore, in qualche modo fisicamente limitate a cui è bene prestare costante aiuto. Ma questa espressione «naturale» della relazione tra i sessi forse, questo piccolo rito interpersonale, potrebbe non essere il riflesso reale di questa relazione più di quanto la coppia di una pubblicità di sigarette non sia una coppia rappresentativa.” Con queste parole Erving Goffman (La ritualisation de la féminité 1977, trad. it. STUDI CULTURALI, 2010, VII, 1, p.68) descriveva il modo in cui le immagini pubblicitarie contribuiscono a rinforzare le rappresentazioni sociali di una sostanziale disparità fra uomini e donne

Disparità che nelle parole citate sopra è più subdola di un’aperta discriminazione verso il genere femminile: non lo si osteggia aggressivamente, ma lo si tutela, lo si protegge e, con questo, lo si mantiene in una posizione di “debolezza”, in ogni caso subalterna. Un fenomeno, questo, ancora molto attuale che è stato sistematizzato e definito in psicologia come sessismo benevolo (Glick e Fiske, 1996; Volpato, 2013).


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Il sessismo ostile…

Il sessismo benevolo è attualmente la forma principale di disparità di genere nella società postmoderna. Si distingue da quelle forme di sessismo esplicitamente ostile diffuse in passato quando si additavano le donne come persone dichiaratamente meno capaci degli uomini. Basti vedere alcune delle pubblicità degli anni ‘60 come quella del robot da cucina Chef Kenwood che “candidamente” recitava “Chef fa di tutto, tranne cucinare. Ecco a cosa servono le mogli!” (1961). Oggi nessun marchio penserebbe seriamente di fare una pubblicità del genere… o forse sì! Ma sfruttando consapevolmente proprio lo slogan “politicamente scorretto” a fini di marketing.

Lo spot Pandora per il Natale 2017 è stato molto probabilmente pensato in questo modo: “Un ferro da stiro, un pigiama, un grembiule, un bracciale Pandora. Secondo te cosa la farebbe felice?” scatenando infatti un’ondata di polemiche sul web (come dire, tutto purché se ne parli…). Ad ogni modo, spot come questi erano ritenuti normali e scontati negli anni ‘50 o ‘60, destano (giustamente) indignazione e scandalo oggi dove tuttavia il sessismo assume forme più indirette, velate, spesso culturalmente accettate dalle stesse donne.

 

.. e il sessismo benevolo

Quello a cui siamo più avvezzi è una forma di sessismo più “politically correct” che riconosce alle donne tutta una serie di qualità positive (attinenti ad ambiti “femminili” come sensibilità, cura degli altri, accoglienza, empatia ecc.) definendole al tempo stesso esseri speciali, preziosi da vezzeggiare e proteggere. 

Con un tale atteggiamento protettivo verso le donne si rimarca però, seppur implicitamente e con “affetto”, una loro minorità o incompetenza relegandole in un ruolo subalterno rispetto a quello maschile.

Un ruolo che, si badi bene, non è più quello dell’ambiente domestico e familiare; può essere anche quello dell’azienda, del parlamento politico o del salotto televisivo: le donne oggi hanno accesso a tutti gli ambienti della vita pubblica e sociale eppure raramente, in tali ambiti, sono considerate esclusivamente per la loro competenza, per il loro ruolo professionale e non per la loro appartenenza al genere femminile.

 

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Due facce della stessa medaglia

Non si sta qui tacciando di sessismo un comportamento genuinamente gentile o affettuoso verso una donna, ma tutta quella serie di atteggiamenti paternalistici, di “gentilezze” formali messe in atto in modo manipolatorio per relegare le donne “al loro posto”. Tant’è vero che da una ricerca condotta nel 2001 (Glick e Fiske, 2001) si evince come, coloro che mettono in atto comportamenti di sessismo benevolo, siano anche predisposti ad adottare comportamenti di sessismo apertamente ostile qualora la benevolenza non sia sufficiente a far sì che la donna si comporti secondo le aspettative “di genere”.

Sessismo ostile e sessismo benevolo sono dunque due atteggiamenti complementari che predicono e sostengono entrambi la disuguaglianza di genere.

Le donne respingono costantemente e apertamente il sessismo ostile, ma appoggiano spesso il sessismo benevolo interpretando i comportamenti protettivi, “cavallereschi” e paternalistici di alcuni uomini come segnali di apprezzamento e affetto, non cogliendone tuttavia la componente sessista e manipolatoria.

 

Il sessismo nella società postmoderna

Non c’è dunque da stupirsi se ancora oggi il sessismo dilaghi in ogni ambito della società dove ancora le donne sono discriminate in base al proprio genere di appartenenza vedendo disconosciute le proprie competenze intellettuali, professionali, umane.

È questo sessismo che “non ti aspetti” che consente di appellare un capo di stato donna con epiteti informali come accade per la “Signora” Merkel,  di spostare la battaglia politica sul piano degli stereotipi di genere (“La Meloni deve fare la mamma” disse Guido Bertolaso in merito alla contesa candidatura a sindaco di Roma), di eludere completamente il piano della competenza/incompetenza professionale di una persona per appellarla in quanto donna (“la Boschi sarà ricordata più per le forme che per le riforme” disse nel 2014 Nicola Morra, senatore M5S) o di interrompere una donna più frequentemente degli uomini durante un talk show televisivo (Bourdieu, 1998). Come è possibile, viene da chiedersi, che alle soglie del terzo millennio possa accadere ancora tutto questo?

 

Il neosessismo: c’è ma non si vede

Il neosessismo (Volpato, 2013) è una forma di sessismo sottovalutata e misconosciuta proprio perché si pensa alla disparità di genere come a una questione ormai “superata” facente parte del passato. Ci si ritiene a favore dell’uguaglianza senza rendersi conto di trattare differentemente le persone in base alla loro appartenenza di genere (si rivedano gli esempi precedenti).

Il rischio è proprio quello di negare la discriminazione mentre la si mette in atto in nome di una parità di genere che si crede illusoriamente ormai raggiunta. Nel film Il diritto di contare (2016) si narra la storia delle scienziate afroamericane che collaborarono alla NASA negli anni ’60 affrontando un sessismo e un razzismo allora profondamente radicati nella società americana.

In una delle scene del film, una delle protagoniste si ritrova per la prima volta a condividere lo stesso bagno del personale con una collega bianca, quest’ultima le dice nella più totale buona fede “…nonostante quello che tu pensi, io non ho niente contro di voi!”, la collega afroamericana le risponde “Lo so, so che probabilmente è quello che lei crede”.

 

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